giovedì 30 ottobre 2014

Donne che viaggiano da sole



Viaggiare da sole è una esperienza fantastica. Credo che ogni donna dovrebbe farlo almeno una volta. Non da sola in un gruppo. Non con una amica. Non con qualcuno che la fa sentire comunque sola. O in coppia. No, no. Proprio da sola. Io l'ho fatto due volte lo scorso anno e sono state esperienze magnifiche. Prima di partire, ammetto, fa un po' paura. Ma salita sul taxi per l'aeroporto il mondo si trasforma e comincia la magia. L'attenzione verso se stessi e verso gli altri si amplifica. La libertà esplode dentro.  Non so perché, ma tutto diventa ragione per un sorriso, anche lo stupido contrattempo che in altri contesti fa ansia o arrabbiatura di default. 
Viaggiare da sole richiede, come è ovvio, attenzione. Anche se come me se ne è totalmente sprovviste, bisogna per prima cosa inventare un senso dell'orientamento. Non è necessario che sia quello comune, che ti fa andare da qui a li nel tempo più breve, l'importante è che ti faccia andare dove vuoi nel tempo migliore. Pure se non sai dove vuoi andare, va bene lo stesso. Questa cosa qui, implica per forza solitudine. Che però di colpo diventa libertà. Cambiare programma all'ultimo o non averne affatto rende leggeri. 


D'estate andare a correre la mattina presto e zigzagare in tutti i dove alla propria velocità. E spararsi cene improbabili all'ora di colazione se il tuo corpo si incapriccia non richiede spiegazioni. 
Viaggiare da sole porta incontri e amici. Due persone, coppia o amici, si completano e non invitano. Da sola, chiacchiero con chi capita, nella lingua che capita, e sono sempre belle storie. 
Donne da sole se ne incontrano ormai un po' ovunque. Le contraddistingue tutte l'apertura mentale. Chiacchierando si scopre che molte sono partite per lasciare o non avendo nulla da lasciare, ma che poi ci hanno preso gusto e la dimensione si è colmata di così tanti perché che nessuna -o quasi- vorrebbe mai tornare indietro. 

Qualche giorno fa ero a cena, a Roma, con una di loro. Ci siamo confessate che per entrambe partire in compagnia è piacevole, ma la felicità pura di essere da soli non si batte. Magari non funziona per tutte. Però... Provare per credere. 

Ps quest'anno io ho viaggiato sempre con mia figlia.  Ma questa è un'altra storia, è amore assoluto. 

venerdì 24 ottobre 2014

Attraversare a Saigon



Il traffico solido e liquido. L'alchimia impossibile si verifica in modo naturale nelle due grandi città del Vietnam, Hanoi e Ho Chi Min City, ovvero la versione extralarge di Saigon, dove il movimento di pedoni, auto, moto e altri veicoli di natura più incerta raggiunge raffinate vette di equilibrio improbabile.
Attraversare la strada a Saigon, ma anche Hanoi non scherza, è una esperienza che va fatta. Il traffico vietnamita ha una personalità tutta sua e difficilmente esportabile. Una armonia tra fretta produttiva di stampo occidentale e l'orientale calma intrisa di fatalismo. Così il flusso scorre creativo, sempre al limite dell'incidente, che però non avviene all'ultimo soffio. Nessuno si scompone, ci si scansa, ci si fa quadrati o tondi, magri, corti, storti, a seconda di necessità. 



La fiumana di motorini, in netto sopravvento su ogni altro mezzo di locomozione, romba ai semafori, al rosso si addensano non meno di cento scooter di ogni razza, età e colore. I driver generalmente indossano la mascherina, fragile protezione contro un inquinamento palpabile. La motociclista tipo, inoltre, si protegge dal sole, vero e proprio nemico della donna orientale e della sua pelle che deve essere bianchissima, con delle strane giacché le cui maniche lunghe godono di una specie di prolunga sulle mani, in modo che non vengano scurite dai raggi. 
Nella loro assurdità, anche i vietnamiti (come i romani o i napoletani, diciamolo in verità) hanno sviluppato un codice della strada alternativo, ma chiarissimo agli autoctoni.


Ecco alcune regolette base che ho estratto dall'esperienza del mio viaggio. 
- In motorino si va in quanti si vuole (fino a quattro, più i bambini ovviamente)
- In motorino si può portare ogni genere di oggetto, senza limiti di peso, spazio, grandezza, quantità
- Gli adulti indossano il casco, i bambini no
- Sulle strade extraurbane la destra è riservata alle moto, la corsia di sorpasso ale auto e ai camion
- Il sorpasso si effettua SEMPRE invadendo la carreggiata opposta
- I semafori sono indicativi, suggeriscono
- Suonare sempre e ripetutamente il clacson fa parte dell'andare in sè. Non si viaggia senza segnalare acusticamente il proprio passaggio urbi et orbi
- Il contromano, anche in autostrada, in moto o in bici, è considerato accettabile. Certo, solo nella corsia di emergenza
- Pedoni. Attraversare è ovunque possibile. Risibile aspettare il verde dei semafori o i passaggi pedonali. Il modo migliore è abbandonare il marciapiede mettendo un piede davanti all'altro entrando nella mischia con cauta sicumera. Il flusso del traffico si aprirà tipo Mar Rosso e aggirerà fluido l'ostacolo semovente. Il passo deve esser lento e costante per dare modo ai driver di regolarsi. Non mostrare timore o incertezza è fondamentale
- Chi va contromano ha diritto di stare più vicino al marciapiede rispetto a chi percorre la carreggiata per il suo verso
- Obiettivo del guidatore delle due ruote è non mettere mai i piedi per terra. Ergo, compie evoluzioni e variazioni di rotta atte a raggiungere questo scopo. 
-Ad ogni incrocio è obbligatorio suonare molto più che nella normale via in modo da non doversi fermare. Spericolate manovre vengono compiute per evitare l'onta di toccare il freno. 

    Qui sotto, non si vede bene, ma quello è uno schermo piatto per tv

martedì 21 ottobre 2014

La baia di Halong, le perle tra i faraglioni



Alla baia di Halong o Ha Long si arriva da Hanoi. Gli organizzatissimi vietnamiti, vere macchine da guerra del turismo personalizzato, singolo o di gruppo, ti prelevano al tuo hotel e ti portano direttamente all'imbarco, un porto nel golfo del Tonchino dove cincischiano giunche di vari ordini, grandezza e lusso. Onestamente, non è per raccomandazione o caso che questo posto sia patrimonio dell'Unesco. 




Le piccole crociere si avventurano tra le circa 3000 isolette, io li chiamerei faraglioni, scivolando tra la nebbia che sfuoca e fa un po' l'effetto calza sulla telecamera di Berlusconi. Diciamo che illanguidisce i contorni e immerge nel senza tempo. Anche perché, almeno quando sono andata io, il sole aveva costantemente un cappotto grigio che rendeva le ore tutte uguali e l'umidità costante e rigogliosa.
La giunca si adopera per rendere il soggiorno perfetto. Servizio impeccabile, guarnito di stupefacenti sculture in frutta e verdura rinnovate ad ogni pasto, in un tripudio di inventiva quantomeno barocca. 



Una sera, un piccolo fuori programma. Forse galvanizzato dal romanticismo del luogo, certo con premeditazione, il lui della coppia australiana seduta al mio tavolo, d'improvviso chiede silenzio, cava dalla tasca la fatidica scatolina, e fa la proposta: “would you marry me?”. Ovviamente riceve il suo sí, baci, abbracci, foto, lacrime e sorrisi. Così c'è stata anche la parentesi entertainment.


Ma il bello vero comincia con l'addentrarsi tra i faraglioni, guglie apparentemente senza soluzione di continuità. Alcune più  grigie, altre più verdi. A qualche svolta appare un piccolo villaggio sull'acqua, un nucleo galleggiante stretto alle gomene, completo di negozi, scuola, galleria d'arte e case con portico e giardinetto. Per scendere a terra, si fa per dire, sono palafitte oppure barche travestite da case, si prendono a due a due dei barchini a remi che depositano il visitatore laddove possa spendere qualche soldo. 


Nella baia di Halong si coltivano e pescano le perle. Diligente l'esposizione. In fondo c'è il reparto cosmetico. Creme alle perle. Ammettiamolo, esercitano fascino. Almeno su me. Che ne ho comprata una, rimpiangendo poi l'attacco di tirchieria che mi ha impedito di prenderne di più. La crema alle perle, di qualunque cosa sia realmente fatta, mi è piaciuta assai. Aveva un non so che di fiabesco e antico più efficace di ogni ialuronico e i suoi adepti. 
Oltre ai faraglioni e alle perle, la baia di Ha Long offre alcune grotte con stalattiti e stalagmiti che si possono raggiungere con un kayak. Si va in fila indiana, come anatroccoli gialli di giubbotti di sicurezza.
 

sabato 18 ottobre 2014

Il delta del Mekong, il fiume come stile di vita





Anche questo è un post di un viaggio 'antico', ricordi e appunti si mescolano. (Credo che sarà una 'quadrilogia'). Sono stata in Vietnam in aprile 2012, un viaggio da sud a nord, senza la protezione di un tour organizzato. Una parte consistente del fascino del Vietnam, oltre alle medaglie che continuamente si appunta per essere l'unico paese che ha sconfitto gli americani, viene dal Mekong, fiume madre e padre e datore di lavoro e figliolo e un po' dio di ogni abitante. Fiume giallo di colorito, molto affaccendato e assai consapevole di sè. Si fa gli affari suoi e se ne va per la sua strada, ma non rifiuta passaggi a nessuno. 


Con un carattere così, e una corporatura assai imponente, ovvio diventare il fulcro del circondario. Per decine di kilometri, ma direi per tutta la regione, non si fa nulla che il Mekong non voglia. E nulla si muove senza di lui. Qui si vive 'sul' fiume, proprio dentro, non sulle rive. Qui il fiume non separa o al massimo trasporta, qui racchiude il mondo. 
Faccio un paragone scandaloso: a Toronto, visto il clima, si sono scavati una città alternativa sotto terra e si può vivere in gennaio con -30 senza mai indossare il cappotto. Sul Mekong si potrebbe passare l'intera vita senza mai toccare terra. 



Si sale su una barca e ci si immerge (ma verbo fu più appropriato) in una vita parallela. Sul Mekong, tra barche e barche, si svolge il mercato. I contadini portano le loro mercanzie e le donne, su barchini, vanno a fare la spesa. Intere famiglie sono sistemate in case sull'acqua, le floating houses. Alcune si spostano, altre stanziali e attraccate. Sul fiume viaggiano i ristoranti, si lega la propria imbarcazione e si sale a mangiare. Oppure si passa accanto all'uomo che sbuccia e vende ananas, quello che offre zuppa, c'è un negozio galleggiante solo per i dolci. Sul fiume, vanno e vengono perfino barchini che vendono esclusivamente i biglietti per la lotteria. Volendo, ci sono i taxi d'acqua, dinamici e 'moderni', a motore o traditionalist a remi. Come per le auto, a ciascuno il suo natante, per reddito o inclinazione. Anche i bambini, ben prima dell'età della patente, guidano un qualche trabiccolo di piccole dimensioni, canoe per lo più. Come andrebbero a scuola, sennò? Il traffico, ovvio, è assai caotico. Con allegria i vietnamiti di fiume si schivano l'un l'altro, si incontrano, chiacchierano e scambiano notizie. Fanno affari.Una normale vita di paese. Solo che si svolge esclusivamente sull'acqua. 


Impressionante visitare gli allevamenti di pesce. Sono enormi vasconi di rete immersi nel fiume, su qualcosa che sembra terra ferma e invece è pure galleggiante. Le 'piscine' sono coperte. I proprietari le scoprono per i visitatori e il ribollire dei pesci è stupefacente. Anche un po' spaventevole, per la verità. La concentrazione di animali è inconcepibile. Non esiste spazio. Solo pesci divincolanti e giustamente furibondi. Affamati oltre l'inverosimile. Ma l'impressione è che sia fame perpetua non mancanza di cibo. Un pozzo di vita primordiale con bisogni primitivi. Spazio-cibo. Tutto qui. Purtroppo non ho le foto perché la mia macchina fotografica a un certo punto è annegata. 

   Alla fine una l'ho trovata 

giovedì 9 ottobre 2014

Avventura a El Jem, Colosseo bis nel deserto tunisino



El Jem è il Colosseo nel deserto. In Tunisia. Tappa di ogni vacanza on the road che si rispetti. Se vuoi andarci 'no alpi tour', però, nell'era post Ben Ali e senza alcuna connotazione politica, be' allora è un po' differente. 
Estate 2011. Agosto. La Tunisia è una nazione del tutto differente da quella ricordavo due anni prima. La comunità italiana e italotunisina è spaventata. Scioccata dalla rivoluzione. Hanno sentito pallottole fischiare sulla loro testa, hanno fatto evacuare turisti e residenti, respirano aria cambiata. Ma io non lo sapevo. Così ho affittato una macchina pensando di girare in lungo e largo senza problemi. Sbagliato. Sbagliatissimo. La Tunisia dopo la rivoluzione è arcigna e sgarbata. Non ammette donne sole al volante. Perfino i benzinai sono condiscendenti e fare il pieno può diventare sgradevole. 
Così l'auto si riposa il più possibile e noi usufruiamo al massimo dell'ospitalità di amici cortesi da decenni di stanza a Hammamet. Tranne il giorno in cui Flaminia ed io decidiamo di andare a visitare El Jem. Diamine, non si può perdere, il Colosseo numero due. 
Le raccomandazioni prima di partire si sprecano. Perfino chi vive li da anni è preoccupato per la piega che hanno preso le cose. Così ci vestiamo da capo a piedi nonostante il caldo, intabarrate in maniche e pantaloni lunghi. “Non fermatevi mai, nemmeno se trovate pietre sulla strada, aggiratele, vorranno vendervi uva e altre cose, non fermatevi. Vi chiederanno passaggi, non fermatevi. Insomma, in sintesi, non fermatevi”. Chiaro. Concetto chiaro. Ma ti pare che ci fermiamo?
Partiamo e appena imboccata l'autostrada, sotto un cavalcavia, due militari in divisa e con bei fucili a vista ci fanno segno di accostare.  Ecco. La scelta è tirare dritto rischiando la sventagliata o guai con la giustizia oppure affrontare il classico “patente e libretto” che più o meno è lo stesso in tutte le lingue. 
Mi fermo. Resto al volante e aspetto il poliziotto. Niente potrà mai uguagliare il nostro stupore quando questi due, invece di chiedere i documenti, aprono gli sportelli posteriori e salgono in macchina. Flaminia ed io non potevamo crederci. Sta di fatto che i militari non erano in servizio, ma facevano l'autostop visto che la 'ditta' Tunisia non paga i trasferimenti dal posto di lavoro a casa. 
Avere due uomini a bordo, con tanto di fucili, nel clima di quell'anno non ci piaceva per niente. Da una parte di veniva da ridere per quanto eravamo state sciocche. Dall'altra faceva abbastanza paura pensare a quello che poteva succedere. Loro due dietro, armati... Insomma, sono state due ore molto tese. Anche perché non parlavano alcuna lingua. E vederli scendere al casello come promesso è stato davvero un sollievo. 
Lasciata l'autostrada ci siamo addentrate verso El Jem. Diciamo che le indicazioni erano scarsissime. E che la gente era assolutamente ostile. Il numero di uomini con la barba, rispetto a un paio di anni prima,  moltiplicato. Nessuno rispondeva alle nostre richieste di indicazioni. Come fossimo trasparenti. Anche le donne ci trapassavano con lo sguardo. Invisibili. Un comportamento stupefacente quanto inquietante. Disapprovazione 'a prescindere'.
Come sia, dopo giri tortuosi, più con l'aiuto della fortuna, che del senso dell'orientamento, arriviamo al Colosseo arabo. Deserto nel deserto. Nessun turista. Qualche bancarella di chincaglieria intorno, almeno loro cordiali. Girelliamo dentro e fuori il monumentone. Bello è bello. E imponente. Vale il viaggio. Ma poi torniamo svelte svelte a Hammamet e non ci muoviamo più di li. 

domenica 5 ottobre 2014

Photobombing, come ti rovino allegramente l'immagine



Si chiama Photo bombing. E' un gioco dispettoso. Nuovo nel nome, antico nella sostanza. Un divertimento abbastanza innocuo conto terzi. In pratica, i ragazzi escono per andare a 'pasticciare ' le foto altrui. Cioè, adocchiano turisti, coppie, amici e si inseriscono a sorpresa e tradimento nei loro scatti. Smorfie e sberleffi, posizioni acrobatiche o irriverenti. Chi è più bravo inventa meglio la sua incursione. Persone o animali che siano ...
A quanto pare, è l'ultima moda. Almeno tra gli studenti inglesi. E non quelli delle primarie, ma gli universitari. La prendono tutti a ridere. Gli intrusi, ove conosciuti, vengono taggati dalle vittime e con le vittime. Si organizzano allegri pomeriggi o serate: “andiamo a fare un po' di Photo bombing”, propongono in alternativa al cinema o il pub. O come extra, visto che ci si può intrufolare nelle foto altrui un po' ovunque. Ci sono veri e propri campioni del settore.


    
D'altra parte l'estraneo nella foto o nel video, quello che saluta dietro l'inviato del Tg, lo spiritoso che fa le corna al collega, all'amico, al capo di stato vicino c'è sempre stato.La novità, secondo me, è che non è più solo un guizzo estemporaneo, una tentazione irresistibile quanto improvvisa, ma un passatempo codificato. Una abilità 'sociale'. Un altro modo di divertirsi e stare insieme. Esistere di più al tempo dell'immagine. 
D'altra parte, ai semafori non vendono più accendini ma prolunghe da smartphone per selfie migliori...
(Foto per una volta da google)