sabato 1 novembre 2014

La guerra del Vietnam




La guerra in Vietnam è finita. Da tempo. Lo sappiamo tutti, ma proprio tutti, come è andata. Sfido chiunque ad affermare di non aver mai usato espressioni automatiche tipo “è stato un Vietnam”, oppure “come un vietcong”, per non parlare di napalm e via così. In più, mi pare che tutti sanno che al mondo tutti sanno come è andata in Vietnam. Tranne i vietnamiti. Che vivono totalmente immersi in quella storia. E nemmeno per un attimo la danno per scontata. 
Per carità, storia vicina vicina e non di poco peso. “Non dimenticare” è uno dei pochissimi vaccini per evitare gli orrori dei ricorsi crociani. Antidoto debole -la memoria dei fatti è sempre stata cagionevole- ma pur sempre l'unico.

Così in Vietnam è praticamente impossibile non imbattersi in un museo di armi e macchinari da guerra, aerei, carri armati diroccati da un lato. Dall'altro,splendide ricostruzioni in mezzo alla giungla della vita del vietcong. Che appare animata di eroismo, netta e pulita come immagino non sia stata affatto. Deve essere che l'idealizzazione inevitabile dei vincitori che li ha negli anni trasformati, ripuliti, resi simili a star da cinema. 


Infilarsi nei cunicoli scavati sottoterra è diventata una avventura per turisti, sono piccoli e stretti e bassi, adatti a corporatura minuta, ma un po' asettici. Se non si sta attenti si indossa lo spirito di disneyland e non va bene. Perché il villaggio vietcong è lindo e senza sbavature, ci sono le riproduzioni a grandezza naturale dei rifugi abitati adesso da manichini in pose plastiche. La foresta di mangrovie risulta affascinante e quasi accogliente, puoi perfino tirare un seme a piombo nel fango umido e sapere che presto ci sarà una tua piccola mangrovietta. Solo il caldo non lo hanno potuto addomesticare e fa pensare davvero a quella guerra combattuta per tutti in condizioni disumane. 


Da quella esperienza (o forse anche da prima, chissà) i vietnamiti hanno ricavato la formula magica della organizzazione. Puntualità, tempismo, proposte. Quindi al turista cuciono gite ed escursioni su misura per durata, prezzo, luoghi. Non di rado ho assistito a minibus che si fermavano nel mezzo del nulla per incrociare un collega e far passare anche un solo viaggiatore che aveva scelto un itinerario speciale. La espressione 'non si può fare' non esiste, tutto si organizza. 


Il rovescio, se si può chiamare così, della medaglia è che non si sfugge alla sosta nei megacentri souvenir dove, però, qui lavorano i veterani di guerra, quelli che portano cicatrici e menomazioni e i figli del napalm, sfregiati nella vita e nel corpo. Il senso di colpa occidentale stimolato all'estremo. Funziona certo con gli americani, non molti in giro, perlopiù reduci in visita-pellegrinaggio con la famiglia. Anche gli europei, in genere, provano uno strisciante disagio. Io di sicuro. Anche perché non c'è mai vittimismo. Nessuno chiede elemosina, nessuno trascina una offesa fisica, non parliamo di esibirla per “affari”. 
C'è un passato, c'è un presente che ne deriva, c'è una vittoria e c'è un prezzo da pagare a un popolo che ha visto ferro e fuoco in casa sua mica troppo tempo fa. 

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