lunedì 28 dicembre 2015

Burocrazia sprint, miracolo a Roma



Voglio chiudere l'anno con un racconto positivo quanto inaspettato. Ovvero, eppur si muove...!!!
Passaporto nuovo, carta di identità, aggiunta del cognome della madre a quello del padre. Ovvero una full immersion nella burocrazia. Romana per di più. Tre mostri che erano in agguato da parecchio tempo e mai mi decidevo ad affrontare. E invece, in mezza mattinata, dico 'mezza mattinata', ho fatto tutto. Senza raccomandazioni, vie preferenziali, artifici di alcun genere. Insomma, la burocrazia di Roma funziona. Non è uno scherzo, ma una sorpresa. Certo, avevo tutto l'occorrente a portata di mano, fotografie, conti correnti, marche da bollo. E tuttavia, non ho potuto fare a meno di rimanere basita. 
Giorni di Natale, va bene. Ma se c'è meno gente in giro anche gli impiegati saranno a ranghi ridotti, no? 
Primo step la mia carta di identità. Delegazione del II municipio, ore 9. L'impiegata addetta alle informazioni, gentile e competente, mi da un modulo da riempire e prendo il numero. Sono le 9.16. Il mio 'appuntamento' allo sportello è alle 9.33. Nel frattempo Flaminia, alle prese con la volontà di aggiungere il mio cognome al suo va  all'ufficio Rapporti con il pubblico. In un batter d'occhio ha tutte le coordinate per risolvere il problema: istanza alla Prefettura, marca da bollo di x euro (non mi ricordo), documento di identità. All'idea della Prefettura mi si fa notte... Figuriamoci... Inferno dantesco, come minimo... 
Nel frattempo scoccano le 9.33 e alle 9.34 mi chiamano. In 10 minuti la mia carta di identità è pronta e possiamo passare alle due pratiche successive. 
Per il passaporto avevamo già tutto il necessario. Quindi: posto di polizia al Collegio romano. Zero attesa. Due poliziotti, una donna è un uomo, gentilissimi, prendono i documenti. "Devi ripartire il 30 dicembre? Oggi è il 22... ". Già prospettavo un ritorno in Uk con carta di identità e relativi problemi con la security britannica, già parecchio meticolosa di suo è resa appena un po' più intollerante dai recenti avvenimenti. Invece, le parole magiche: "nessun problema, torna il 29 mattina e il tuo passaporto sarà pronto". E sono stati pure di parola! Tempo per entrare in commissariato ed espletare la cosiddetta pratica: 20 minuti. 
Galvanizzate dalla fortuna, affrontiamo di piglio la Prefettura. E pure qui, miracolo a Roma. Ufficio Rapporti con il pubblico professionale e cortese. Consegnamo l'istanza in quattro e quattr'otto. Non mi pareva vero! Certo, per avere il 'responso' ci vorrà circa un anno, ci hanno detto... Evvabbè, suvvia, nessuno è perfetto...  

mercoledì 23 dicembre 2015

Solidarietà a lieto fine



Ancora due storie che mi ha raccontato Chiara della missione Cuori grandi ad Amakpapè, Togo. Racconti di gambe, nei quali solidarietà, forza di volontà e un po' di fortuna si mescolano e lievitano a raggiungere il lieto fine. 
C'è Bella, 15 anni, e c'è Assossimba, 8 anni, entrambe affette da ginocchio valgo bilaterale (le cosiddette "ginocchia a X"), probabilmente a causa del rachitismo. Per entrambe la malattia era progredita al punto da rendere quasi impossibile camminare, e Assossimba da qualche mese aveva anche lasciato la scuola a causa delle prese in giro delle compagne.
L'infermeria Cuori Grandi si è fatta carico di tutte le spese e ha finanziato un intervento ortopedico bilaterale per entrambe. "E' stato un grosso impegno, dal punto di vista economico e organizzativo (l'ospedale in cui sono rimaste ricoverate per oltre 2 mesi dista da Amakpapé circa 500 km), ma ne è valsa la pena: quando Bella e Assossimba sono tornate a trovarci dopo due mesi e mezzo, sono entrate in infermeria camminando spedite e sorridendo radiose" racconta Chiara, giustamente orgogliosa.  


Bella, la cui situazione era meno grave, dovrà semplicemente continuare a fare gli esercizi di fisioterapia a casa tutti i giorni. Assossimba, invece, porta ancora i tutori e le scarpe ortopediche, e continuerà a portarli per altri 6 mesi. Ma quello che più conta è che due ragazzine, che lasciate a loro stesse e ai loro mezzi sarebbero rimaste handicappate a vita, hanno ricevuto in dono un paio di gambe nuove e la possibilità di tornare a camminare come tutte le loro coetanee. 


"Ora si sta spargendo la voce, partendo dal villaggio di provenienza di Bella e da quello di Assossimba, e molti altri genitori con bambini che hanno problemi ossei e articolari, malformazioni congenite e deformazioni acquisite, si stanno rivolgendo a noi, pieni di speranza -dice ancora Chiara- 
Noi vorremmo prenderci cura di tutti, ma purtroppo le operazioni ortopediche in Togo sono costosissime e i bambini che stiamo ricevendo in questo periodo sono davvero tanti. A seconda del tipo di intervento necessario, la presa in carico per ciascuno di questi pazienti può venire a costare da 300 a 2000 euro". 
L'sos di Chiara è delicato e lieve. Io lo raccolgo personalmente e lo pubblico qui per chi volesse contribuire a creare happy ends. 

Bambine superstar ad Amakpapè



Bambine superstar nella missione Cuori grandi di Amakpapè, profondo Togo. Mi scrive Chiara, l'infermiera che vive lì e più o meno da sola tiene a bada la situazione sanitaria dei dintorni. Poco prima di Natale, racconta, in occasione della consegna del libretto scolastico (una specie di pagella), le bambine hanno superato i maschi e hanno fatto man bassa di primi premi.  Tutti  i bambini della scuola -racconta Chiara- hanno ricevuto un regalo di Natale (che potevano scegliere tra peluches, vestitini, pacchetti di costruzioni...) e i primi 3 classificati di ogni classe sono stati applauditi da tutti i presenti (qui in Togo si usa fare la classifica per punteggio in tutte le classi, dalla prima elementare al diploma).


La cosa più bella è stata che il primo posto in ciascuna delle nostre 4 classi è toccato a una bambina, in un Paese in cui si tende a non mandare a scuola le femmine per lasciarle a casa a badare ai fratellini più piccoli. Anche nella nostra scuola ci sono più allievi maschi che femmine, ma i primi posti quest'anno sono andati tutti a delle bambine, sottolinea Chiara giustamente orgogliosa. 
Come già altre altre volte, lascio a lei il racconto di Akoua, che dimostra che le favole si basano su storie vere. Vabbè, talvolta... 


La prima classificata della prima elementare ha una storia incredibile: si chiama Akoua, ha 8 anni e, contrariamente alla maggior parte dei suoi compagni di classe, prima di quest'anno non aveva mai messo piede in un'aula. Qui in Togo si usa iscrivere i bambini in prima elementare quando hanno 3 o 4 anni, sapendo già che tanto saranno bocciati e che quando non arriveranno in seconda elementare prima di avere 6 o 7 anni. E' come se i genitori fossero convinti che i bambini possano imparare di più ripetendo la prima elementare due o tre volte, che non iscrivendosi all'età giusta e passando subito in seconda. Per questo la nostra prima è piena di bambini che hanno 5-6 anni e che sono già pluriripetenti.
Akoua invece prima di iscriversi da noi non era mai andata a scuola.


Suo padre è morto lasciando orfana lei e un fratellino di 5 anni, sua madre si è risposata con un uomo che non vuole avere nulla a che fare con i figli del suo predecessore. L'ha costretta ad affidare Akoua e il suo fratellino alla nonna, perché non vuole nemmeno abitare sotto lo stesso tetto con loro.
Sono venuta a conoscenza di questa storia quando la madre di Akoua è venuta in infermeria per curare la malaria della sua bambina più piccola, avuta dal nuovo marito. Le ho chiesto quanti figli avesse, tanto per fare conversazione, e lei è scoppiata in lacrime e mi ha raccontato che ne aveva 3, ma che il nuovo marito non le dava nemmeno il permesso di andare a trovare i primi 2, che abitavano con sua madre a Togba, un villaggio distante pochi chilometri, e che le mancavano tanto. Le ho chiesto se andavano a scuola, e lei ha detto di no, perché non aveva i soldi per pagare l'iscrizione (il nuovo marito l'ha anche costretta a smettere di lavorare, fa parte di una setta religiosa estremista: in Togo normalmente i mariti non hanno nulla in contrario al fatto che le donne lavorino).
Allora abbiamo cercato insieme una soluzione: i soldi dell'iscrizione non erano un problema, perché in casi del genere la nostra scuola viene incontro alla famiglia. Ma i bambini, soprattutto il minore, non potevano percorrere ogni giorno tutta quella strada, dal momento che è anche un tragitto pericoloso (è sulla strada nazionale asfaltata, dove capitano sempre tanti incidenti). Ho proposto alla madre di cercare una sistemazione per i bambini nel villaggio e lei si è illuminata tutta e ha detto che avrebbe potuto affidarli a sua sorella, che abita qui ad Amakpapé, se avesse trovato una scuola disposta ad accettarli gratuitamente. Così, in ritardo di qualche settimana sull'inizio dell'anno scolastico, Akoua e il suo fratellino hanno cominciato a frequentare la scuola (lei in prima elementare, lui in materna). La madre passa spesso a salutarmi e a ringraziarmi e, all'insaputa del marito, si reca spesso anche a trovare i figli a casa della sorella. Anzi, ha addirittura fatto qualche lavoretto in giro per contribuire almeno parzialmente alla tassa scolastica, nonostante le avessimo detto che nel suo caso eravamo disposti a prendere i bambini a scuola gratuitamente.
E che risultati! La piccola Akoua, che ha rischiato di non andare a scuola, adesso è la prima della classe.

Ecco: una bella storia come ce ne vorrebbero di più a Natale. E anche in tutti gli altri giorni dell'anno, per la verità. 

domenica 20 dicembre 2015

Villa Torlonia



Villa Torlonia vive a due passi da casa mia. Sovrasta la piccola villa Paganini con la sua nobiltà acquisita  e riconquistata pezzo pezzo negli ultimi venti anni, a forza di restauri faticosi e stentati. L'ho vista decadente e rugosa, sta tornando ragazza. Con tutte le sue civetterie di bella. A parte i gruppi di canari, che si sono assegnati lo status padroni, non si sa proprio a che titolo. Qui le persone corrono, passeggiano, fanno pic nic, vengono a visitare gli edifici rimessi a nuovo e assurti a ruolo di musei.


Ho cominciato la mia cosiddetta carriera di runner tra questi sentieri, conquistando faticosamente metri e minuti all'inizio  in un paio di improbabili Superga. Ho assaporato le stagioni qui, dove i fiori e le piante sono accuditi con solerzia e si cedono il passo a sincrono con i mesi. Le palme, altre altte, secche secche, si erano ammalate, parecchie sono morte, ma quelle rimaste scandiscono il profilo. Insieme ai pini che pure loro, semmai per ingarellarsi, non ne hanno voluto sapere di irrobustirsi e corrono solo verso l'alto.  Ora anche l'acqua ha avuto i diritti civili e viene trattata da cittadina first class, ovvero pulita e mantenuta ad un grado di cristallinità ammirevole. Non è sempre stato così, un tempo piccole paludi abbondavano.


Non corro più qui, ho tradito villa Torlonia con villa Ada. Troppo accidentato il terreno e il perimetro corto. Però vengo sempre molto volentieri per due passi e se devo parlare un po' per bene con qualcuno. Mi piace avvistare i vecchi ruderi e trovare le novità. Le scuderie, per esempio, ora scintillano. Certo, siamo in un cantiere aperto che manco la variante di valico, ormai pure quella funziona. Dice. Però se hanno finito quella, pare che la Salerno-Reggio Calabria vada verso il compienti, forse ci sono buone speranze anche per villa Torlonia, no? 


mercoledì 9 dicembre 2015

Affreschi, mosaici e altre romanità



A Palazzo Massimo sono custodite prove concrete che costruire la metropolitana a Roma è impossibile. L'ex collegio che domina le terme di Diocleziano ospita parecchie affascinanti vestigia delle, diciamo così, seconde case della Roma patrizia un po' prima e un po' dopo Cristo. A ogni didascalia appare evidente che quei poveretti di ingegneri impegnati a collegare la città in modalità veloce e sotterranea sono stati sottoposti alle peggiori torture dagli antichi romani di certo seccati di tanto disturbo. 

 

Questa qui sotto, per esempio, è la villa di Livia a Prima Porta. Insomma, scavare con la ruspa sarebbe stato un po' estremo, no? Anche a Termini ci sono stati problemi con la stazione. Ville zeppe di statue e preziosità artistiche  hanno sbarrato la strada ai treni per parecchio. 




Tra i ricchi antichi la villa per prendere l'aria buona e godere delle piacevolezze bucoliche era una necessità assoluta, mi pare. Almeno a giudicare dalla quantità di domus raggruppate a palazzo Massimo, che, direi, non le contiene comunque tutte e tutte intere. 
Questo qui sotto è un colombario, stanza riservata ai loculi dei defunti. Atmosfera luminosa, niente di nero. Piuttosto, scene di campagna, animali esotici e non, piccole vignette anche divertenti, citazioni egizie. Insomma, un posto dove riposare in pace e senza farne una tragedia...

 
Tutte le stanze ricostruite sono stupefacenti nel loro sfarzo e nella raffinatezza di gusti. Certo, che i romani si trattassero bene non è una sorpresa. Ma passeggiare nelle loro quotidianita fa comunque effetto. Pareti rosse e affrescate, con predilezione per il tromp l'oeil, pavimenti a mosaico minuzioso quanto sterminato. Ai giorni nostri diremmo che mancavano di sobrietà. Ma quelli sobri, in linea generale, erano i greci. E comunque, anche tra i romani c'era chi amava lo stile essenziale, come suggerisce questo piccolo affresco che pare copiato ai cinesi o al primo Novecento. 


Colpi di spazzola



Suvvia, noi lo sappiamo, il parrucchiere è toccasana per umore e prospettiva. Fa specie accorgersi che in duemila anni suppergiù non è cambiato nulla. Sebbene io non abbia alcuna idea di come i professionisti antichi, schiave abilissime direi,  acconciassero le teste romane, oggi mi  é capitato di riflettere sul tema. 
A palazzo Massimo, due passi dalle terme di Diocleziano, ci sono tre piani di romanità. 
Ne parlo a parte. Al primo impatto, però, c'è una sfilata di teste acconciate e con descrizione minuziosa delle pettinature.



Ecco sfilare giovani e anziane attente all'ultimo grido, riccioli e ghirigori, a seconda di possibilità, inclinazioni ed età. Diciamo che, mediamente, i capelli lisci non andavano. Immagino quante disperazioni e fatiche per ondularli almeno. E il tempo speso.
Certo, a guardare queste donne, mi chiedo, ma quanti capelli avevano, santo cielo! Oppure, chissà, chiedo venia per l'ignoranza, anche allora si confezionavano posticci, parrucche e toupet per aiutare a sfolgorare. Sia come sia, mi pare che poco o nulla sia cambiato nei secoli dei secoli. I capelli continuano ad essere punto focale di bellezza e l'arte di acconciarli resta indispensabile. Le fogge mutano, lo spirito mai. (Perla di saggezza).




venerdì 4 dicembre 2015

Balthus



Dirò la verità, a me Balthus non piace proprio. Mi inquieta, lui e suo fratello. Lui e le sue ragazze a gambe aperte. Dormono tutte, quasi sempre. Come inconsapevoli pupazze delle quali servirsi. I bambini hanno volti cattivi, tutte le persone sono avvolte di cupezza. Sarà stata la guerra, non discuto. Anche se passata in Svizzera... Infatti più avanti negli anni i colori si rischiarano. Osa perfino qualche paesaggio, alcuni belli verdi di natura e campi. C'è il lato giocoso, il civettare con LewisCarroll, sempre un filo scordato però.
Non mi ha convinto, non l'ho capito e dunque apprezzato. Diciamo la verità, non mi raccordo con brutture e cupezze, ora come ora. 


Bella 'La strada', nelle sue due versioni, cresciute negli anni. Solo qui, per me, la piattezza diventa bellezza. Bella anche una donna nel parco, giganteggia tra alberi, lampioni e altre figure, totalmente sproporzionata nel suo rosso grandioso. Bella, ma certo non luminosa. C'è come un male che aleggia e si insinua. Un disagio che ti guarda in faccia dalle opere. Penso a una natura morta, ma non proprio morta. Aggressiva all'inverosimile. Un tavolo imbandito con una bottiglia di cristallo in frantumi, un martello fermo che sprigiona fragore, un coltello affondato nel cuore di una pagnotta, che ne vedi la violenza. Ecco, forse per un pittore sentire che il suo quadro è vivo è fiore all'occhiello, ma è così malefico che istintivamente prendi le distanze dall'uomo e dall'artista. 
Anche qui le foto non si potevano fare così ne ho rubate poche. Ammonita. 


Penso che, alla fine, è stato un sollievo arrivare alla fine del percorso e godersi Roma e il Quirinale dalle vetrate delle Scuderie. 


giovedì 3 dicembre 2015

Una visita al buio



Tra le mille visite, guidate e non, a musei e affini, quella alle domus sotto palazzo Valentini, sede della provincia di Roma, è stata tra le più bizzarre. Una gita praticamente tutta al buio su pavimenti di vetro sistemati alti sui resti romani. Inutile dire che è difficilissimo abituarsi a camminare nel vuoto, la sensazione è contro natura e, sebbene la ragione suggerisca che è solo un pavimento trasparente, si finisce per  trascinare diffidenti i piedi, cercando appoggi con le mani. In più, ci si muove quasi sempre nell'oscurità quasi totale, rotta soltanto dai giochi grafici di luce che raccontano la vita di queste due case romane di ricconi. Molto affascinante, per carità, ma, come dire, mancano gli appoggi. E poi, vietato fotografare. Certo, fotografare il buio e i suoi dintorni non è gratificante, va... Però due scattini proibiti li ho rubati. Certo, non sono un granché, giusto il gusto del proibito...

Questo è il pavimento di vetro sul quale si va 

Ricostruzione grafica malamente fotografata 

Una volta preso atto di essere in balia del sottosuolo, si può prestare attenzione al ricamo delle luci. Che intrecciano le domus, un bunker della seconda (credo) guerra mondiale (rubata foto), case rinascimentali posate sulle rovine romane come classici elefanti nella cristalleria. 




Enormi muri posati a mezzo di raffinati mosaici, statue di senatori e aristocratiche buttate a fare cemento armato per nuove creazioni edilizie, colonne grandi come mai se ne sono viste accasciate senza rispetto. 
La visita rispecchia il casino della storia. Cercano di mettere ordine, ma l'ordine non c'è. C'è (forse) il terremoto che distrugge le domus: te lo fanno proprio sentire sulla pelle e inevitabilmente pensi 'Oddio e se ricapita ora?'. C'è un esilarante passaggio in cui fanno vedere la Roma antica sotto il temporale con un commento senza senso sul fatto che pioveva allora come oggi e che fa pensare che agli autori piacesse da morire la grafica della pioggia... C'è il divertente 'butto' rinascimentale, una specie di Malagrotta ante litteram, dalla quale hanno estratto piatti, oliere, resti di cibo che quasi ci potresti dedurre le ricette. Quasi... 
E alla fine, dopo l'improbabile sosta nell'orrendo stop di souvenir, c'è la storia della colonna di Traiano. La conquista romana della Dacia. Un po' aulica, se vogliamo, ma decisamente ben fatta. Un modo di raccontare la storia, srotolando il bassorilievo, semplice e avvincente. Le foto della colonna, alla fine, sono le uniche appena decenti. 


lunedì 30 novembre 2015

Il mondo di Cosa



Gioco di parole facile, perfino scontato. Ma gli scavi di Cosa sono un mondo a parte. Visita fuori stagione, fuori orario. Fuori. Cosa se ne sta appollaiata in cima alla montagna di Ansedonia. Per me, solo una indicazione gialla e scrostata sulla via del mare o di casa per parecchi lugli trascorsi lì. Pigrizia, fretta, il classico “oggi no, ma domani...”. Finché, ecco 'domani'. Giornata autunnale, la spiaggia è sotto l'attacco del vento, non invita. Cosa fa da diversivo possibile. Si lavora un po' di gambe per arrivarci, non per niente  la città monta la guardia alla pianura. Romani contro etruschi.  In cima, i ruderi raramente superano le caviglie. Però, quando lo fanno i blocchi di pietra sono ciclopici. Ci si chiede, come sempre accade dalle piramidi in poi, come abbiano fatto costoro a edificare senza le meraviglie della tecnologia moderna. Banalità. D'altra parte ci stupiamo anche della  vita  senza smartphone... Figuriamoci...



 La vista di lassù respira di meraviglia e salsedine anche in una giornata grigia. Il sole lancia spot sul mare, il muro romano fa da quinta. Tra i perimetri accennati sopravvissuti al tempo che fu fa capolino la vita quotidiana. La cisterna, il foro, il teatro. E poi, gli ulivi. Sembrano li dai tempi dei romani, scolpiti dalla vita, si piegano di frutti, vecchi e mai stanchi. 



mercoledì 25 novembre 2015

Incidenti



Non riusciva a credere al suo corpo. La testa rintronava, sul sedere aveva sentito uno schiocco violento, un muscolo rotto nell'impatto. Forse. Subito dopo si era rialzata, spinta dalla rabbia e aveva combattuto, ma poi si era afflosciata di nuovo per terra. Il pavimento freddo e la vergogna. E la paura. Di essersi fatta male davvero. Di averla scampata bella. Di quello che era successo.  “Santo cielo, abito in centro, ho una laurea, una carriera, una famiglia alto borghese...certo, lui viene dalla piccolissima borghesia, gente che in testa sbatte mestoli, non idee o principi. Eppero’...”. 
“Da, alzati che non ti sei fatta niente, smettila con questa manfrina”.
Lui torreggia arrogante. Nemmeno un briciolo di vergogna, lui. Come se fosse una scena ripetuta altre volte, con altre protagoniste. Vedendola strisciare a terra, incapace di rialzarsi, ecco il dubbio. “Ti aiuto, ti metto sul letto?”, propone. Dal suo metro e novanta, la voce arriva fredda, non riesce a rompere il ghiaccio che si e’ formato su di lei. “Vattene”. Lui esce, va. Non sente altro bisogno di prodigarsi.

“Mamma, come va”. “Tutto bene, perché?”. “Mi ha detto lui che ti sei fatta male. Non so, che ti ha spinto?”. “Be’, si’, avrei preferito che tu non lo sapessi, comunque si’, sono a terra, non riesco a muovermi, mi dispiace”. “Mi dispiace??? Ma che è successo?". “Una lite... Mi ha detto di uscire dalla stanza, io ho detto di no e lui mi ha preso di peso e sbattuto a terra in corridoio”. “Vuoi che venga?". “No, grazie, arriva una mia amica. Lui le sta dando le sue chiavi di casa, mi soccorrerà. Tu resta a scuola”. 

“Denuncialo. E’ mio amico da vent'anni, ma devi denunciarlo”. “No, ha una figlia adolescente, come potrei? Lo rovinerei. Ha già lanciato un casco contro un collega. Ha già ’quella’ fama...”. 

Nel letto, pesta di dolore, lei riflette. “Questo e’ (era?) il mio compagno, che è successo? Perché lo ha fatto? Perché mi sono vergognata? Perché lui non si vergogna? Mi ha solo detto ’sei così leggera, sei volata’”. 

Sono partiti insieme. Lui sempre un passo avanti. Lei ancora zoppicante, trascina da sola valigia e pensieri doloranti. In compenso, lui le vieta di postare foto e commenti. “Ho detto a mia moglie che sono partito da solo”. “Ma vi siete lasciati da due anni...”. “Be'? Tu non postare. Sei infantile a insistere. Io lo faccio? Be’, si’, io si”.

L’acqua scorre sulla pelle abbronzata. Visto da sotto, il sole squillante scherza con le onde, la barca a pochi metri. “Signora, e’ stata via tanto, cominciavo a preoccuparmi! E suo marito dov’e’?”. “Ha deciso di tornare via terra, ha mal di mare. Non è mio marito”. Ma la giungla e’ tutta uguale. Soprattutto con gli spessi occhiali in frantumi, con quei mal di pancia incontrollabili, ginocchia e caviglie deboli, tendenza a perdere liquidi. E senza  cellulare poi... Un incidente, che tragedia, tre giorni a cercarlo tra le mangrovie per poi ritrovarlo soffocato nel sudore. Tre giorni di vacanza un poco rovinati. “Come lo rimandiamo a casa suo marito?”. “Non saprei, non era mio marito”. 

domenica 15 novembre 2015

Venerdì 13 novembre, piazza Caprera, Roma




Improvvisamente una sera a piazza Caprera. Un gruppo africano, musica, canti, un minuscolo melting pot. Era venerdì 13 novembre. Negli stessi minuti dei massacri di Parigi, anche io ero ad assistere ad un piccolo concerto, in un minuscolo locale della piazzetta sotto casa. Una birra o due, e questa avvolgente band con la sua musica ritmata e allegra. Si chiama Tribal trio con ironia e orgoglio.  C'è lo xilofono, costruito con una base di zucche. Nel volantino però figurano percussioni. Anche il basso (o come diavolo vogliamo definire quello strumento, nella locandina individuo kora) ha la cassa ricavata da uno zuccone. Inteso come enorme zucca. 



Loro se ne fregano degli strumenti che qui appaiono singolari, perfino abborracciati, siamo sinceri. Sbagliato: sono tappeti volanti per trascinare in Africa e raccontare storie e culture. Naturale, non si capisce una parola delle canzoni, facile che i testi siano scemi come quelli di ogni lingua, ma l'atmosfera prende per mano e fa star bene. 


Come ogni spettacolo che si conviene a un certo punto ecco la diva, una ragazza non ragazzina, che prova a misurarsi da solista, dopo un po' di gavetta come vocalist con Fiorella Mannoia, Loredana Bertè, Luigi Cinque. Viene dal Senegal, si chiama Maam Jarra Guye. Qualcosetta si trova già cercando in rete. 
La serata trascina, c'è gente che balla, tutti ridono, scherzano, si godono l'atmosfera. 
Gela pensare che un po' più su nella stessa Europa, altri come noi passavano una serata così e sono morti. Ogni sorriso annichilisce. Derubati di libertà e confidenza. Ci si sente quasi colpevoli di averla scampata. Lasciamo perdere le ovvietà, sono state dette tutte e non mi unisco. Ma io passerò ancora serate così. Con o senza paura. 
 



giovedì 12 novembre 2015

Henry Moore e la sua cornice



Sono partita per andare a vedere Henry Moore, sono approdata in un mondo sconosciuto dietro l'angolo di casa. La mostra è alle Terme di Diocleziano, giusto accosto alla basilica di Santa Maria degli Angeli, chiesa nota e centrale, visitata varie volte. 


Non posso pensare di non aver mai conosciuto un posto come quello. Grandissimi spazi tutti densi di bellezza e storia. Insomma, per farla breve, mi addentro in questo cancello, pensando di trovare le sculture disseminate in un posto qualsiasi. Invece, qui si tratta di grandezza pura e semplice. 
Alle terme di Diocleziano si accede attraverso un giardino che fa da intercapedine con il mondo romano. Quello vero. Ci sono altari e alberi antichi, cespugli di lavanda che sembrano d'epoca,  e una fontana con tanto di pesci rossi sormontata da un cratere, sorta di vaso, in forma extralarge. Già incuriosita e un po' sorpresa della sorpresa, procedo. 


Il museo si dipana tra edifici, chiostri, terme con frigidarium e piscina in un susseguirsi di angoli e svolte. Il sole di questo novembre eccezionale fa le linee nette, taglia l'ombra e l'azzurro del cielo in modo professionale. 



Così mi godo Moore, i disegni,  le sue sculture in pezzi, le madri con bambino aggrovigliate talvolta con amore, talvolta con rabbia, i suoi dolori di guerra, impegnati a dire 'mai più', le donne sdraiate in tutte le tonalità del bronzo. 



 

E poi lui, il più bello -lo so, scopro l'acqua calda- il guerriero con lo scudo. Sta nel mezzo di uno spazio aperto , si protegge con allarme palpabile, dai fulmini del cielo o dai nemici. Me ne sono innamorata. 



Ma senza nulla togliere a Moore, che aspettavo, sono stata catturata dal posto. Le terme sono splendide. Hanno strati sovrapposti alla romanità originaria. La basilica di Santa Maria degli Angeli si tiene dentro due chiostri spettacolari. E file e file di sale, edifici, scale, scalette, luci, ombre, storie nelle storie e nelle pareti. Non sarei andata via mai a sbirciare dietro tutti gli angoli e ce ne sono di infiniti, mi pare. Perciò smetto di chiacchierare e lascio un po' di foto, che è meglio.