martedì 10 febbraio 2015

Domenica pechinese

 Domenica, 1 febbraio 


Domenica, primo giorno in città. Siamo partite di buona lena per un lungo giro turistico e invece no, pian piano ci siamo fatte trasportare dall'atmosfera e siamo state avvolte dalla festa. Diligenti siamo  salite sulle due torri, la Torre del Tamburo e la Torre della Campana. Ne parlo a parte, se lo meritano. Da lì si domina il paesaggio e si individuano le altre piccole colline della città, ciascuna ospita un parco e una bella costruzione in testa. 
Girovagando rigorosamente a piedi, non più di una decina gli occidentali avvistati, ci siamo sintonizzate sulla lunghezza d'onda generale. Domenica di sole, sui laghi ghiacciati chi può pattina, gli altri affittano strane creature mitologiche, metà slitta metà bicicletta, e si lanciano con quelle.



Chi cammina, generalmente lo fa con del cibo in mano. Il passo è orientale, per noi lentissimo e svagato. Abbiamo superato mille mila persone, mai uno che camminasse più veloce di noi che pure non stavamo andando da nessuna parte. Anche noi abbiamo comprato street food, uno strano calamaro infilzato su uno spiedo e fritto con tutti i suoi tentacoli. Buonissimo. 


E poi ecco Jingshan Park, a ridosso della Città proibita. Salendo in cima lo spettacolo è degno delle migliori stampe cinesi.



 Ma è il parco stesso a riservare una sorpresa. Gli abitanti di Pechino la domenica ci vanno a cantare. Già salendo fino al tempio sentivamo gruppi di voci, siamo andate a vedere e c'erano capannelli di persone, per lo più divisi tra uomini e donne, che cantavano. Alcuni più virtuosi rappresentavano chiaramente il nocciolo, altri andavano e venivano, partecipavano a una canzone e lasciavano. Accompagnati da musici diversi. Fisarmoniche o chitarre. Microfoni o no. I gruppi più numerosi avevano anche una specie di direttore del coro. 


Poco più in là, invece, i gruppi di ballo. La versione cinese del liscio, una specie di classe di aerobica, un danzatore simil mongolo esibiva il suo a solo. 
Abbiamo bighellonato tutto il giorno, insomma. Il piacere di una sosta in un ristorante nel quale per ordinare abbiamo dovuto indicare i piatti altrui. Certo, peccato per quel topo che è sfrecciato dalla cucina fino  sotto la credenza... Meno male che stavamo già chiedendo il conto...

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