martedì 19 maggio 2015

Nostalgie e ritorni



Fatta non fui per viver sedentaria. Tornare non è la mia specialità. Non ci sono tagliata. E, in effetti, io non torno mai indietro. Quindi, ogni volta che stacco il biglietto del rientro, soffro. Leggo di persone che spasimano il loro letto, il cibo, caffè e parmigiano, le strade di casa, luci, ombre, colori e abitudini. Ecco, per me vale tutto il contrario. Bello, per carità, i primi cinque minuti dopo che il carrello tocca la pista, ma già Fiumicino mi sta stretta. Mi irrita. Essere a casa mi fa sentire estranea, la gente che mi capisce e canta la solita canzone mi fa cadere le braccia. Dovessi dargli un colore, il ritorno è blu. Chissà perché. 


Apro la porta, la gatta mi corre incontro. Talvolta. Se non è troppo offesa dell'abbandono. Se sono fortunata, poi, è venuta la signora delle pulizie e non c'è polvere.  Prendo atto dell'immancabile moria di piante. Le lavatrici. Il ritorno al lavoro. I racconti del viaggio. 
Gli amici mi accolgono, vogliono sentire storie, commentano quello che hanno letto sul blog. E io mi crogiolo negli ultimi barlumi del viaggio, quando le foto non sono ancora proprio ricordi e le spezie non sono evaporate.
Sono tornata diversa, si torna sempre diversi, no? Ma qui cose, persone e meccanismi non se ne accorgono. Il ritmo è lo stesso e in pochi giorni tutti dimenticano e riprendi posto nel tuo mondo. Il segno non si vede, un po' come la coda di paglia. 
Quello che mi crea insofferenza profonda è che a Roma non cambia mai niente. La chiamano la città eterna mica per niente. Eternamente uguale a se stessa. Buche, riti, lamentele e intrattenimenti si dilungano in loro stessi. Il paesaggio perenne e immutato. Per carità, non sono cieca alla bellezza. Roma la guardo sempre con grande ammirazione e le riconosco la capacità di svelare angoli mai piatti. Però, però, un filo troppo compiaciuta di sè, forse? Insomma, quando ne sto lontana non mi torna in mente. 


La mia parte nostalgia è tutta estroversa. Mi mancano i bradipi e le tartarughe marine del Costarica, gli elefanti dello Sri Lanka, il cibo cinese doc e alla Città proibita darei volentieri molte altre occhiate. Mi assesterei per un po' nella missione di Amakpapè, prenderei una stanza comoda a Puerto Vieho ma anche a Tamarindo, passerei un mese a bighellonare sulle rive del Mekong. E che dire di un vagare per isole greche, magari imparando l'Odissea meglio del poco che so. Tanto per dirne qualcuna. Desiderio di tempo più lungo. 
In generale, direi che mi mancano le persone, alcune, poche e sparpagliate,  mai Roma e le sue grandi bellezze. 


Che poi, in un posto puoi anche starci una settimana e vederlo con lo spirito del viaggiatore e invece restarci da turista perenne. Questione di occhi. Questione di prospettiva. Però, poiché i viaggiatori sono più rari dei turisti, la sensazione prevalente è quella del mantello dell'invisibilità ai cambiamenti. Trova le dieci piccole differenze tra il prima e il dopo un viaggio. Io le sento, ma sono impercettibili senza il microscopio dell'affinità. Così me ne resto sola sotto ai vestiti della norma, tacchi e parrucchiere d'ordinanza. E covo braci d'avventura. Fino alla prossima.

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