venerdì 21 agosto 2015

Occhi di mamma



Affollamento. Non sovraffollamento. Ad agosto non sono andata da nessuna parte. Però ho vissuto l'estate con mia figlia, per una volta dopo tanto tempo, stanziale a Roma per parecchie settimane. Accompagnata, conditio sine qua non, da un codazzo di amici che si sono stabiliti nell'appartamento a geometria variabile. Talvolta pochi, talvolta molti, talvolta a sorpresa o con blitz notturni estemporanei degni di guastatori Marines. In quanto a avventure e novità ne ho collezionate parecchie. Sicuramente ho arricchito il mio bagaglio di esperienze umane. E ho attinto a piene mani alle lezioni di equilibrio degli ultimi anni. Nel retropensiero si nasconde la domanda se sono stata madre educativa o sventata come una cicala. La risposta non è sulla punta della lingua e, tutto sommato, non voglio nemmeno saperla. Meglio che se ne occupino i posteri. O altri, comunque.
Tengo a precisare che nel mio racconto non c'è giudizio, solo occhi di mamma.  Questi ragazzi sono semplicemente giovani, nè buoni nè cattivi, nè educati nè maleducati. Solo ancora acerbi e, ovvio, di una generazione differente. Io poi, ammetto, a casa sono stata pochissimo, il minimo indispensabile e quindi la visione è parziale.
Abituata a vita da single, fa strano tornare a casa e trovare ragazzoni bivaccanti. Non si alzano a salutare, nè maschi nè femmine. Semmai buttano là due parole, ma non sempre, tipo “come è andato il tuo week end”. Molto friendly, per carità, ma, come avrebbe detto mia madre, abbiamo fatto il soldato insieme? Avanzi di cibi e bevande si annidano ovunque, meglio se in contenitori un po' aperti in modo che l'aranciata o la Coca possano sversarsi più facilmente o le formiche rifocillarsi senza stancarsi.  
La cosa curiosa è che pur vivendo in grande -diciamo- comunanza, questi ragazzi mangiano come monadi. Ovvero, vanno tutti insieme al supermercato a fare la spesa, ma ognuno compra il suo cibo e, eventualmente, se lo cucina. Più frequente l'acquisto di costosissime vaschette precotte, consumate poi sul divano o in altre sedi improprie. La stanza da pranzo non viene apparentemente riconosciuta nel suo ruolo. La cucina invece provoca diffidenza. Serve, mi pare, per attingere acqua da lasciare poi in giro a prosperare le zanzare. Aprendo per caso un sacco della spazzatura lasciato da portare via, mi é anche capitato di trovare un contenitore trasparente di cibo mezzo pieno, accuratamente richiuso con dentro la forchetta del servizio attualmente in uso in casa. Posata in acciaio, difficile confonderla con una di plastica. Quindi? Che dire? Riflesso condizionato? Mah. Alcuni contenitori di cibo già pronto, invece, prendono residenza fissa nel frigo, dove acquistano vita propria e immagino, nel lungo tempo, stringano relazioni sociali tra loro. Difficile buttare d'imperio, non sapendo a chi appartengono i reperti. Per i bicchieri il discorso si amplia, quelli si trovano proprio dappertutto. Camere da letto, bagni, corridoi, mobili e librerie. Potrebbe capitare (non a me) di fare raccolta per casa con un cesto. Anche perché pur essendo 'benestanti' non abbiamo riserve inesauribili e succede anche che siano tutti in giro. Certo, i ragazzi non si perdono d'animo, sono creativi e ricorrono alle bottiglie dalle quali bevono a canna e poi depositano accanto ai bicchieri e agli altri generi commestibili in nature ahimè non morte ma rapidamente formicolanti. Non escludo agguati di  bicchieri o merendine smozzicate perfino verso Natale. Ripongo la speranza nei poteri taumaturgici di Veronica la mia aiutante domestica 2.0.


Anche il capitolo dormire ha le sue stravaganze. Prima regola non si va a letto prima dell 4-5 di mattina. È religioso. E poi, si dorme dove, come e con chi capita. Un sonnellino in salone? Certo, basta aprire il divano letto e spiaccicarsi lì sopra. Anche in tre-quattro non c'è problema. E visto che potrebbe servire di nuovo, con il caldo di luglio, per quale motivo richiuderlo? Un letto in salotto fa molto 'romano'. Come triclinio. 


Di notte (mattina presto, va) dalla mia stanza (chiusa) sento traslochi umani e di arredi e suppellettili. Si tratta di un tramestio a intervalli non regolari, separato dal normale andare in bagno. Come se gli abitanti delle stanze cercassero la combinazione perfetta e si spostassero per questo di letto in letto.
C'è da dire che Flaminia mi informa puntualmente delle novità. Per esempio, qualche notte fa, sentito che erano rientrati verso le 5, intorno alle 6.30 esco dalla mia stanza per andare a farmi un caffè e trovo un biglietto giallo davanti alla mia porta: “Mami, ci sono due miei amici che dormono in salotto. Non entrare. Baci”. O anche sms tipo: “Federico dorme sul divano. Era troppo ubriaco per lasciarlo andare via, mi sarei preoccupata”. Evvabbè, certo, povero Federico... Insomma, notti mai buie.   A casa mia, per una ragione o per l'altra il sole non tramonta mai. 


Ultimo elemento l'igiene. Nessuno ha mai fatto lavatrici. Docce, sì, certo. Anche i lavandini hanno assunto un aspetto vissuto. Sono stati riportati a specchio però dietro precisissima richiesta. Ma i panni si sono accumulati variopinti in alti mucchi in parecchi angoli. In camera di Flaminia parlerei di dune. Suggestive. Salvo poi prosciugare la cassa degli asciugamani e aspettare che io, alla fine presa da furia iconoclasta, raccolga questo e quello e lo smisti in frenetiche lavatrici susseguenti. 
In questo momento preciso la tabella delle presenze prevede: la partenza di Evie lunedì, Sarah sarà qui martedì per ripartire sabato, Chloe arriva mi pare venerdì e riparte lunedì.
Sono stati con noi: Evie un mese, Nick e Jack una decina di giorni, Federico, Jason e chissà chi altri hanno passato notti o parte di esse in salotto. C'è stata anche la mia amica tedesca Caro, quattro giorni. 
A metà settembre, quando tutto ciò sarà finito, mi sentirò sola? O no? 
Queste note sono state sottoposte al vaglio preventivo di Flaminia che le ha bocciate dicendo che facevo apparire i suoi amici come maleducati e basta. Non la penso così. Sono solo ragazzi giovani, concentrati su loro stessi, come è normale che sia e come siamo stati tutti. Io, per esempio. Sicuramente. E poi, Flaminia mi ha detto che questa è stata la più bella estate da moltissimi anni. Quindi, benvenuto caos, che mi importa di te? Non mi sei nemmeno antipatico... 

martedì 18 agosto 2015

Ferragosto e i suoi dintorni romani



A ferragosto, questo ferragosto, a Roma sono aperte solo farmacie. Un sacco di farmacie. Quasi tutte. Almeno tra il centro, il quartiere Trieste, Trastevere e i dintorni. Una cosa curiosa, se ricordo il peregrinare rovente degli anni passati. Il piano ferie stavolta ha funzionato. Solo per loro però. Piccole delusioni inevitabili scoprire i tuoi negozi di riferimento che sono andati tutti in vacanza. La palma va al ciabattino di via Lambro, inesorabilmente chiuso dal 1 al 31 agosto. Villeggiature anni '60. Peccato che abbia in ostaggio un paio di miei sandali che mi avrebbero fatto comodo assai e che riavrò solo a settembre, quasi fuori tempo massimo. All'altro capo il siciliano a viale Trastevere. Chiuso, esponeva un orgoglioso cartello, dal 15 al 16 agosto. Vacanza intramuscolare. Ma d'altronde è aperto da un paio di mesi e decisamente si candida a punto di riferimento di zona. 


Per il resto la città è in mano ai turisti. Non si vedono romani dichiarati. Camminano come asini tra i suoni, coppie o branchi, sembra che non abbiano mai visto una segnaletica stradale in vita loro. A parte le zebre che occupano sgocciolando uno a uno e creando file perfino quando le auto sono rare. E che dire dei negozi del centro? Ho scoperto che quelli di souvenir sono a grandissima maggioranza animati da immigrati volenterosi quanto snaturalizzanti. 



Niente di male, per carità , ma difficile sostenere che questa è Roma se nessuno parla romano e per chiedere una indicazione bisogna rivolgersi al cielo. Inteso come internet. Oltretutto questi signori che popolano i negozi a malapena spiccicano  un po' di italiano. Non mettiamo nemmeno in conto inglese, tedesco, francese, spagnolo. La vendita è tutta affidata alla buona volontà dell'acquirente. 


L'accoglienza di Roma è sempre superba. Metti, per esempio, Castel Santangelo. Anche in estate, anche ad agosto, chiuso il lunedì. Passo diesel, incurante. La storia si sdegna della cronaca. E poi, quei magnifici signori che sgambettano intorno al Vaticano, promettendo a ogni nazionalità e in ogni lingua di saltare le file per 25-50 euro. Degno di nota anche il servizio tuk tuk a prezzo variabile sul grado di ingenuità del malcapitato. O il romantico giro stile Vacanze romane con il quale si affittano Vespe e Vesponi. Molto conveniente. Per il gestore. Con una manciata di ore già il primo giorno si copre il costo del mezzo. Un biglietto da visita per la città della Lupa. Piena di lupi, senz'altro meno 
nobili.


Invece, la colonna sonora di agosto funziona. Traffico sussurrato e sommesso, prevalgono gli street musicians. Roma offre angoli a iosa. È lì li trovi, in piedi, seduti, accosciati. Soli, in due, anche tre. Formazioni e strumenti variabili come la fantasia della musica e la destrezza di esecuzione. Nazionalità spesso non identificabili a primo acchitto. Non parliamo dei musicanti di Brema, certo: topi (e piccioni) romani sono sordi e se la ridono delle note. Però per camminare con una meta o attardarsi a casaccio fa allegria accompagnati da note, qualità a prescindere. 

giovedì 13 agosto 2015

Canoeing a doppia pagaia



La canoa mi mancava. Sport apparentemente tutto di braccia, alla fine ti trovi con le gambe stanche e raggrinzite. Come esordio ho pagaiato per dieci kilometri, metro più metro meno, sul lago di Sabaudia. Sport anche bizzarro, per me abituata alla impermeabilità sociale stagna quando corro come in palestra. Questa volta no, la canoa viola è da due e quindi necessita di coordinazione. E coordinamento. Pagaia e direzione vanno armonizzate. E non si può fare proprio proprio completamente di testa propria. Prova ardua? Nemmeno troppo, suvvia. I 'consigli' a cadenza inesorabile mi hanno portato a capire il movimento e a pagaiare alla fine fluida. 
E poi, il dritto della medaglia comporta condividere l'airone cinerino, alto e bello, con il suo vestito grigio elegante davvero e uno strano modo di frenare prima di posarsi. Vederlo volare a zampe distese, come se si stesse tuffando verso l'alto mi ha entusiasmato. C'erano anche aironi bianchi, un po' più piccoli, gabbiani e altri pennuti senza arte nè parte. Pesci, no, non se ne sono visti. Solo l'impressione, il guizzo afferrato con la coda dell'occhio, lo splash del nascondino sotto la superficie. 
Giornata di sole, acqua rilassata da week end. Una lunga parte del lago era completamente deserta. Il Ponte di Sabaudia faceva da fondale lontano. La meta. Lavoro di braccia, muscoli concentrati a fare del loro meglio nella nuova avventura. Io un po', ammetto, trovavo scuse ambientali (guarda questo guarda quello) per farmi scarrozzare. Ma alla fine ho fatto il mio. Il momento peggiore quando, arrivati al punto di ritorno, il monte Circeo appariva miraggio azzurrino all'orizzonte. 


“Non ce la farò mai”, mi sono confessata. Ma no, non l'avrei ammesso mai all'airone cinerino e ai suoi accoliti. Così, il mulinare più o meno in sincrono ci ha spinto all'arrivo. Uscire dalla canoa è stato esilarante, le mie gambe avevano dimenticato la loro funzione di tenere il corpo verticale e c'è voluto il bello e il buono a convincerle a tornare in servizio. Così le ho portate subito a mare per attenuare lo shock in acqua salata. Peccato per le foto mancate, ma i miei devices sono idrofobi e dunque dove c'è acqua non li porto.