mercoledì 25 novembre 2015

Incidenti



Non riusciva a credere al suo corpo. La testa rintronava, sul sedere aveva sentito uno schiocco violento, un muscolo rotto nell'impatto. Forse. Subito dopo si era rialzata, spinta dalla rabbia e aveva combattuto, ma poi si era afflosciata di nuovo per terra. Il pavimento freddo e la vergogna. E la paura. Di essersi fatta male davvero. Di averla scampata bella. Di quello che era successo.  “Santo cielo, abito in centro, ho una laurea, una carriera, una famiglia alto borghese...certo, lui viene dalla piccolissima borghesia, gente che in testa sbatte mestoli, non idee o principi. Eppero’...”. 
“Da, alzati che non ti sei fatta niente, smettila con questa manfrina”.
Lui torreggia arrogante. Nemmeno un briciolo di vergogna, lui. Come se fosse una scena ripetuta altre volte, con altre protagoniste. Vedendola strisciare a terra, incapace di rialzarsi, ecco il dubbio. “Ti aiuto, ti metto sul letto?”, propone. Dal suo metro e novanta, la voce arriva fredda, non riesce a rompere il ghiaccio che si e’ formato su di lei. “Vattene”. Lui esce, va. Non sente altro bisogno di prodigarsi.

“Mamma, come va”. “Tutto bene, perché?”. “Mi ha detto lui che ti sei fatta male. Non so, che ti ha spinto?”. “Be’, si’, avrei preferito che tu non lo sapessi, comunque si’, sono a terra, non riesco a muovermi, mi dispiace”. “Mi dispiace??? Ma che è successo?". “Una lite... Mi ha detto di uscire dalla stanza, io ho detto di no e lui mi ha preso di peso e sbattuto a terra in corridoio”. “Vuoi che venga?". “No, grazie, arriva una mia amica. Lui le sta dando le sue chiavi di casa, mi soccorrerà. Tu resta a scuola”. 

“Denuncialo. E’ mio amico da vent'anni, ma devi denunciarlo”. “No, ha una figlia adolescente, come potrei? Lo rovinerei. Ha già lanciato un casco contro un collega. Ha già ’quella’ fama...”. 

Nel letto, pesta di dolore, lei riflette. “Questo e’ (era?) il mio compagno, che è successo? Perché lo ha fatto? Perché mi sono vergognata? Perché lui non si vergogna? Mi ha solo detto ’sei così leggera, sei volata’”. 

Sono partiti insieme. Lui sempre un passo avanti. Lei ancora zoppicante, trascina da sola valigia e pensieri doloranti. In compenso, lui le vieta di postare foto e commenti. “Ho detto a mia moglie che sono partito da solo”. “Ma vi siete lasciati da due anni...”. “Be'? Tu non postare. Sei infantile a insistere. Io lo faccio? Be’, si’, io si”.

L’acqua scorre sulla pelle abbronzata. Visto da sotto, il sole squillante scherza con le onde, la barca a pochi metri. “Signora, e’ stata via tanto, cominciavo a preoccuparmi! E suo marito dov’e’?”. “Ha deciso di tornare via terra, ha mal di mare. Non è mio marito”. Ma la giungla e’ tutta uguale. Soprattutto con gli spessi occhiali in frantumi, con quei mal di pancia incontrollabili, ginocchia e caviglie deboli, tendenza a perdere liquidi. E senza  cellulare poi... Un incidente, che tragedia, tre giorni a cercarlo tra le mangrovie per poi ritrovarlo soffocato nel sudore. Tre giorni di vacanza un poco rovinati. “Come lo rimandiamo a casa suo marito?”. “Non saprei, non era mio marito”. 

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