lunedì 14 marzo 2016

Chiara a scuola di telemedicina in Mozambico



Chiara è diventata ormai una protagonista cara di questo mio blog. Il progetto di telemedicina, la missione Cuori Grandi di Amakpapè in Togo, i bambini, la scuola, sono diventati amici cari e se dopo un po' non sento notizie mi viene naturale chiedere aggiornamenti. Quadro volta, Chiara racconta delle settimane di formazione in Mozambico. Come nel suo stile é semplice ed emozionante. Racconta episodi meravigliosi di umanità quotidiana. Lascio come sempre a lei la parola. P.s. Le foto le ho rubate a Michele Bartolo. So che non me ne vorrà. 


Quando sono partita, non avevo le idee molto chiare su cosa avrei trovato ad aspettarmi in Mozambico: mi preoccupava l'idea che il corso fosse riservato a un target di medici, e che quindi avrei fatto fatica a seguirlo. Invece fra i 68 partecipanti c'era una buona parte di assistenti medici e di infermieri, e il livello del corso si è rivelato perfettamente calibrato per le mie conoscenze e capacità.
I relatori che si sono avvicendati parlavano in italiano, inglese e portoghese, e per ogni intervento era disponibile la traduzione simultanea in 4 lingue (italiano, inglese, francese e portoghese), in modo che nessun corsista fosse tagliato fuori, indipendentemente dal Paese di provenienza.
Nell'arco di cinque giornate (da lunedì 15 febbraio a venerdì 29) si sono susseguiti professori in Cardiologia, Infettivologia, Radiologia, Dermatologia, Medicina Interna e Neurologia che hanno approfondito temi affascinanti come l'interpretazione dell'ECG, la comorbidità dell'HIV con TBC, HPV e HBV, la radiodiagnostica del torace e dell'addome superiore, le infezioni cutanee di origine batterica, la fisiopatologia e i protocolli terapeutici dell'ipertensione, le neuropatie e l'epilessia.
A causa del poco tempo a disposizione, tutti questi argomenti non sono stati sviscerati in ogni dettaglio, ma soltanto delineati in generale: abbastanza, comunque, da fornire a ciascun corsista un bagaglio di conoscenze più efficace per l'assistenza e la cura del malato.
Ho particolarmente apprezzato la discussione sui casi clinici, vale a dire il resoconto medico-assistenziale di alcuni casi reali affrontati dal personale dell'ospedale di Maputo.
E' stata un'esperienza stimolante potermi confrontare con tanti professionisti della salute che, partendo da un background così diverso dal mio, hanno fatto la mia stessa scelta: quella di mettersi al servizio dei malati in un contesto di grande scarsità di risorse e di latitanza di quella tecnologia che in altri angoli del mondo i medici e gli infermieri danno per scontata.

Chiara è quella con il vestito turchese e i capelli raccolti 

Fra i banchi mattina e pomeriggio, e poi la sera tutti insieme in albergo, ho avuto l'occasione di conoscere colleghi provenienti da Mozambico, Swaziland, Centrafrica, Camerun, R.D. Congo, Guinea, Malawi e chi più ne ha più ne metta, e questa conoscenza mi ha arricchito più di quanto possa esprimere a parole.
Dopo un weekend di svago, durante il quale abbiamo visitato la cttà di Maputo e fatto anche una puntatina alla spiaggia (stupenda!), è cominciata la parte pratica del corso: da lunedì 22 a mercoledì 24 ci siamo suddivisi in gruppetti e siamo rimasti presso il centro Dream di Maputo riservato a bambini e ragazzi sieropositivi e alla prevenzione verticale dell'HIV, cioè la prevenzione della trasmissione del virus dalla donna incinta al figlio (contrariamente a quanto pensa la maggior parte della gente, il contagio pre-natale non è scontato: riguarda solo il 40% dei figli di donne sieropositive non in trattamento antiretrovirale, e questa percentuale scende al 4% se si parla di donne che assumono la terapia antiretrovirale).
In queste tre giornate dedicate all'applicazione pratica di ciò che avevamo studiato la settimana precedente, abbiamo "esplorato" il centro Dream, affiancando di volta in volta i medici, le infermiere e le farmaciste per "rubare loro i segreti del mestiere". Abbiamo anche seguito un corso accelerato di tecnica ecografica, che ci ha fornito i rudimenti su come far funzionare un ecografo e qualche trucco per individuare e inquadrare con la sonda gli organi addominali.
La parte che più mi ha affascinato, però, è stato il counselling ai malati di HIV. L'infermiera responsabile del counselling ha mostrato una grande umanità e professionalità nei confronti di ciascun paziente, e anche un'infinita pazienza verso di me, che la riempivo di domande in un portoghese stentato.
La scena che porterò per sempre con me è questa: mercoledì mattina una giovane madre entra nella stanzetta del counselling con in braccio la figlia di un anno e mezzo, una bambina grassoccia con indosso il vestitino della festa. La madre è sieropositiva, la figlia chissà. E' l'appuntamento fatale: all'età di 18 mesi i figli di madri sieropositive eseguono l'ultimo test: se risulta negativo, possono considerarsi sani (prima dei 18 mesi si può verificare un "falso negativo"). La madre è comprensibilmente nervosa, ha un sorriso tirato, con una mano si stringe la piccola al petto e con l'altra tormenta il manico della borsetta.
L'infermiera punge il ditino paffuto - la piccola aggrotta la fronte, ma incredibilmente non scoppia a piangere - e poi tutti gli occhi si inchiodano ai due pezzetti di plastica bianca posati sul tavolino, uno accanto all'altro (per sicurezza, l'ultimo controllo viene eseguito con due test di tipo diverso).
Trascorrono un paio di minuti durante i quali la bimba osserva svagata fuori dalla finestra.
Poi l'infermiera si china sui due test, se li avvicina al volto e... si concede un largo sorriso.
"Signora, sua figlia è sieronegativa! Attenda un minuto che le stampo il certificato."
Difficile descrivere il seguito: la madre che, piangendo di gioia, afferra la piccola sotto le ascelle e la fa danzare tra le proprie braccia, riempiendole il visino di baci, mormorando a bassa voce in portoghese una litania di ringraziamento. La bambina che, perplessa, accoglie l'entusiasmo materno come un piacevole, per quanto inspiegabile, diversivo.
Un pacchetto di biscotti spunta dalla borsetta e passa di mano in mano a mo' di festeggiamento, rivelando tutta la tenace speranza di una madre che, nonostante la paura di una sconfitta, aveva portato da casa l'occorrente per celebrare la vittoria.
Questa è la scena che mi porto dietro dal Mozambico e dal centro Dream, come emblema e incentivo per la lotta contro la malattia, e contro la povertà e l'ignoranza che della malattia sono i fedeli alleati.
Questa splendida esperienza - tutto ciò che ho imparato, tutte le persone che ho incontrato - è stata resa possibile grazie al generoso sostegno delle associazioni "Nico e i frutti del chicco" e "Luconlus", a cui va tutta la mia gratitudine.

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