mercoledì 27 aprile 2016

Kentridge, il fascino dell'arte effimera


Triumphs and laments si incontrano a metà strada e scrivono una summa della storia dei popoli in cammino, ieri, oggi, domani. Un canto nomade, che si rinnova e cambia nel tempo come l'arte di William Kentridge. 


Ammetto l'ignoranza, mai sentito nominare prima di questa settimana. Ma il suo racconto sbalzato a negativo sugli argini sporchi del Tevere mi ha affascinato. Le figure le andrò a rivedere alla luce del sole. Con il rimpianto anticipato di sapere che ci metteranno al massimo cinque anni ad annegare nell'acqua o nel ritorno dello smog. 


Diciamo che dal Colosseo il concetto di arte di Kentridge è piuttosto agli antipodi. Lo spettacolo, effimero anche lui visto che è durato lo spazio di due performance brevi brevi, è veramente meraviglioso. I cortei si avvicinano l'uno all'altro sulla banchina. Sono fatti di persone colorate, vestite in varia foggia. Ciascuna porta un emblema e le ombre sul bastione dell'argine lo ingrandiscono lo magnificano. Sono due processioni, una umana, l'altra come di spettri. Si incontrano, si fondono, si separano. Riprendono la strada. Come le voci, che trovano ritmo e dialogo. 


Vederlo dall'altra parte del Tevere è una esperienza. La banchina non ha protezione. A proprio 'rischio e pericolo' (si fa per dire, suvvia) si può arrivare fino all'acqua dove tra i bambù e le canne anche alcune anatre si trastullavano, incuranti del pubblico. C'era pure la luna, chissà se gli organizzatori l'hanno calcolato. Il cielo mezzo mezzo, mischiava il blu notte con il grigio nuvola. Insomma, una serata romana, ma non la solita pigra perditempo. Ho visto una bellezza autentica, l'immagine della Roma colta e attenta al mondo nuovo che questa città potrebbe essere. Uno sprazzo. Ma Roma stupisce sempre, si sa. Sono millenni che lo fa. 


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