venerdì 29 luglio 2016

La banca delle parrucche



Di Rita non volevo scrivere. Ci conoscevamo da tanto tempo, lei ed io, ma no, amiche non eravamo. Anzi, per un lungo periodo le incomprensioni hanno interrotto anche la frequentazione, limitandola a un cenno in Transatlantico. Nei suoi ultimi mesi, però, i muri si sono sciolti e senza diventare amicizia, sono tornati i sorrisi. Ma non è per questo che scrivo. Ho seguito la sua battaglia da lontano. Con il rispetto e l'ammirazione che Rita merita e si è conquistata, sbaragliando nemici e ovvietà in quel suo personale campo di battaglia. In chiesa, al suo funerale, e alla presentazione del suo libro ne ho scoperto il coraggio e la vitalità oltre i limiti. Nelle parole degli altri, nel loro dolore ho capito quanto di sé ha lasciato in giro. Inaspettato? Non lo so. Inusuale certamente sì. La Roma. La politica. Le amiche. I viaggi. Il libro, 'Malata di vita'. Ma più di tutto mi ha colpito la sua iniziativa, la Banca delle parrucche. Rita, che è stata calva di chemioterapia e ha portato alta la sua testa liscia, ha affrontato un punto difficile per ogni donna, che è già malata e fisicamente sfregiata, e si trova a essere abbandonata dai suoi capelli. Certamente solo un effetto collaterale. Eppure un punto nevralgico nella percezione di sé. Immagino lo sconforto di tutte, nel mezzo delle avversità, nel veder pure cadere le ciocche. Non mi addentro. Rita ha pensato alle altre. In modo “politico”, ha lasciato una eredità collettiva, un bene comune. Ricostituente quotidiano per lo spirito di affrontare la lotta. Capelli per migliorare l'umore e affilare le armi. Perché se lo specchio manda energia, il corpo se ne giova. “Se davvero fossimo,libere di mostrarci come siamo o come a volte ci riduce la chemio, potremmo anche divertirci a giocare con le parrucche. Una volte bionde, una volta more, corti o lunghi, scrive Rita, consapevole però che “sarebbe troppo da chiedere a questa società bigotta”. Bè, comunque Rita ha inventato la banca delle parrucche,dove quelle donne che non possono permettersela e ne hanno bisogno possono prenderla in prestito per il tempo necessario. Il ricavato del suo libro va a questo mutuo soccorso commovente nella sua semplice lievità. 

mercoledì 27 luglio 2016

Formiche e delfini



Il bagno alle Formiche è un classico. Direi che è uno dei posti preferiti quando usciamo in barca da Talamone, io ospite di amici cari e gentili. Dopo il porto si va dritti per una ventina di minuti e si avvistano le Formiche. Che sono tre ma fondamentalmente una, visto che le altre sono scogli ad altezza caviglia. L'acqua non richiede commenti. 


La Formica grande consta anche di faro (in disuso), bello bianco smagliante che svetta tra l'abbandono più assoluto di sterpaglie e guano. L'isola è disabitata, gabbiani a prescindere, ma offe riparo alle barche quando soffia scirocco e l'aria è pesante. Durante il week end non mi è mai capitato, troppo traffico 
evidentemente.  


Invece in settimana mi è successo di incrociare una banda di delfini, a rimorchio di un peschereccio. Erano quattro, forse una famigliola o forse solo amici in cerca di avventure e di un buon pasto imbandito senza fatica. Comunque, sarò sincera, incontrare i delfini, qualunque cosa stessero facendo, mette allegria. Dopo averli avvistati, ma aspetti con ansia sorridente la prossima pinna affiorare, speri nel carpiato, cerchi di adocchiare il muso. E, naturalmente, cerchi di cogliere l'attimo con una foto. Devo dire che prima di decidermi a prendere il telefono per scattare ho aspettato di godermi lo spettacolo. Il blu del mare profondo, le increspature, il grigio dei dorsi è un insieme che sprizza ottimismo e vita. L'ho assaporato di gusto. 


mercoledì 20 luglio 2016

La mia cotta per Banksy



La parola giusta è 'ammirazione'. E la reazione seguente: “come vorrei conoscerlo!”. Sono andata alla mostra di Banksy a Palazzo Cipolla e sono stata completamente irretita da lui e dal suo modo di interpretare la vita e trasfigurare le denunce. Qualcosa avevo già visto, qualcosa letto, di sicuro ero già predisposta. Ma leggere delle sue gesta in giro per il mondo, tra musei garbatamente violati, scherzi di qualità, installazioni di spessore mi ha proprio entusiasmato.



 L'approccio giocoso non è mai scontato -a parte forse quei bambini con il palloncino a forma di cuore che mi sarei risparmiata- la capacità di dare leggerezza pesantissima alla politica. Con un disegno, uno stencil, Banksy ti mette davanti gli orrori e le ingiustizie del mondo, un po' ridicolizzando chi si prende troppo sul serio, un po' stravolgendo completamente i luoghi comuni. Obbliga gli occhi a vedere la sintesi. Faccio un esempio. C'è, proprio all'inizio del percorso, un quadro (vabbè si chiamerà quadro? Forse) con degli africani in costume tradizionale da savana nell'atto di scagliare le loro lance contro dei carrelli supermercato vuoti. Bello anche lo stereotipo del manifestante violento nell'atto di lanciare, però, un mazzo di fiori. Altre cose che mi hanno colpito le metto qui, che io sono critica sempre per natura, ma non sono una critica d'arte e ognuno poi ci legge quello che vuole. 



Però, nella mostra c'è anche il racconto, in pillole, della vita di Banksy e la sua capacità di farne una avventura di valore. Direi che è sicuramente l'artista contemporaneo che sento più vicino con la sua capacità di avvistare e mescolare amore e odio, pace e guerra, ricchi e poveri, distillando contraddizioni in termini con una ironia che sconfina nel sarcasmo. Decisamente non banale per combattere i mali dell'umanità. In parte guastatore, in parte vietcong metropolitano, ho passato con lui del tempo di qualità. Dimmi poco, di questi tempi.




domenica 17 luglio 2016

Serata Boss



Io lo trovo bellissimo, the Boss. Bellissimo perché bravissimo, perché non si risparmia, perché sorride. Magari non sarà nemmeno vero, ma emana generosità. Il suo concerto, ieri al Circo Massimo, è stato un piccolo antidoto al terrore dei tempi che viviamo. Ci ho anche pensato un po' -non molto- se andare, un malessere piccolo piccolo, un disagio. Ma poi, no, davvero, una spruzzata di fatalismo è indispensabile. “Daje Roma”, ha salutato Bruce e sono state tre ore in cui lui e la sua band non propriamente di giovincelli hanno suonato e cantato a ali spiegate. 




Nel salire della sera Roma si è impegnata parecchio. Le rovine del Palatino hanno cambiato colore a mano a mano, si vedeva l'angelo di Castel Sant'Angelo in fondo, dietro la musica, poi è rimasta solo una lucina. I pini sono diventati neri, il cielo viola e per un po' sul concerto ha stazionato una nuvola rosa sfrangiata. Noi siamo stati sul pratone, un po' distanti ma c'erano maxischermi a rincorrersi e Springsteen l'abbiamo visto in dettaglio. Unica distrazione, la necessità costante di tenersi aggrappati alla costa un po' ripidella, puntando i piedi e cercando di scavare sedili precari. A lungo andare anche quella leggera giannetta che proprio ieri ha deciso di visitare Roma, dopo settimane di latitanza afosa. 



Per il resto, magia. A vederlo dall'alto la maggior parte del pubblico prolunga o sostituisce gli occhi con gli schermi dei telefoni. Ho provato a guardare se fosse solo per un piccolo video o una foto, ma no, quelle luci erano fisse. Ma quanta batteria hanno, che il mio si scarica che è una bellezza? Però c'era anche chi si godeva l'attimo. Sventolando cuori rossi gigante, o cartelli con titoli di canzoni on domand o dichiarazioni di amore, tipo “Can I give you a hug?". Alle canzoni più famose, come da bon ton concertistico, tutti in piedi, ad agitare le braccia e a cantare. Bel clima, gente di età e nazionalità varia. La birra circolava, ma senza prendere la mano. Servizio d'ordine come si conviene, gentilmente fermo, mai aggressivo. Andando via, ho visto le squadre degli incaricati delle pulizie scalpitare, pronti a far sparire nella notte le montagne di rifiuti. Magari li ingaggiasse Virginia Raggi. 




venerdì 15 luglio 2016

Libertè, egalité, fraternitè




Scrivo di getto dopo la strage di Nizza. Le immagini del camion che falcia indiscriminatamente uomini, donne, bambini riuniti per celebrare la festa della libertà mi rovinano negli occhi e nel cuore. La prima reazione è orrore. E sgomento. Poi monta la rabbia, viene fuori quell'aggressività che deriva dal vedere l'ingiustizia voluta e perpetrata. E poi la paura, Il clima di insicurezza che genera la catena di tragedie provocate volontariamente limita i movimenti e radicalizza pensieri e sentimenti. È proprio la libertà ad essere sotto attacco. Di pensare, di vivere, di essere ciò che siamo. Il dolore per questa nuova ecatombe è immenso. È esattamente l'obiettivo dei terroristi. Il gioco che non dobbiamo giocare. La risposta deve essere ferma, attenta, coordinata. Ma anche morale. Difendersi da questa guerra unilaterale è urgente, ma non solo materiale. Bisogna trovare le armi nei valori e nei principi sui quali è costruita la nostra storia, non essere trascinata in un campo di barbarie e ferocia che non ci appartiene. Per questo, nessun tricolore, nessuna bandiera di libertà e di pensiero, per quanto insanguinati, sarà riposto. Il 14 luglio resterà un giorno di libertè, egalité, fratenitè.

mercoledì 13 luglio 2016

Tutti i terrorismi del mondo



Bologna, stazione centrale! Un giorno qualsiasi. Con tutte le suggestioni che evoca per chi, quel 2 agosto, se lo ricorda in prima persona. Io ero in Messico, la spiaggia diventò buia, la tequila di pietra. Oggi sento gli altoparlanti scandire che i bagagli incustoditi saranno controllati e istintivamente penso che ormai il terrore non viene dai fagotti, ma dalle persone che si fanno strumenti di morte. Le emozioni, però, sono gli stessi. Allora  a Bologna, oggi dietro altri angoli, Nizza, Parigi, Dacca. Il ripetersi degli attacchi terroristici in ogni dove del mondo provoca sempre gli stessi sentimenti. L'orrore non conosce l'abitudine nè l'assuefazione. Ogni volta seguiamo queste vicende, vicine o lontane, con il fiato sospeso e l'angoscia nello stomaco. Non fa differenza dove sia l'attacco. Tutti i morti e i feriti sono vicini. Ma l'attenzione e l'empatia mai devono trasformarsi in odio. Oggi l'Occidente è percorso da porte che si chiudono, maglie che si stringono, muri spinati. L'immigrazione è lo spettro che di più agisce in modalità 'contro'. Terrorismo e migranti sono associati in una equazione il cui risultato é un no senza spiragli o eccezioni. Ma con il prevalere delle ostilità, il mondo non avrebbe scampo e sarebbe condannato a una nuova era di guerre e povertà. I grandi della terra si dimostrino all'altezza del loro appellativo e facciano in modo che la lotta all'Isis non si trasformi in una guerra di religione globale totalmente perdente per l'umanità. Per quale che vale, sono stanca di cordogli su Twitter e scarichi di responsabilità nella vita reale. Cominciando, per esempio, a smettere di chiudere gli occhi e intascare business con gli  stati canaglia. Evitando protagonismi da secchioni e non da leader e agendo di concerto. Facendo in modo che gli aiuti ai paesi  poveri arrivino alle persone e non restino attaccati a cento manine ingorde. Così va il mondo?  Be', anche no. 

lunedì 11 luglio 2016

Venticinque e non sentirli



Sono stata alla festa per i 25 anni di matrimonio di Letizia e Vittorio. Deve essere periodo perché la settimana scorsa ho partecipato ad un altro bellissimo venticinquesimo sul Po. Ma Lelio e Lucia li conosco meno. Letizia invece è mia amica da sempre ed è stato perfino emozionate vedere questa famigliona riunirsi sotto gli alberi della casa di tutti. Una schiera di fratelli e sorelle  da entrambe le parti. Ero parecchio orgogliosa del fatto che sono stati invitati solo due amici di Vittorio e due amiche di Letizia e una ero proprio io. 


Sono partita da Capalbio e ho attraversato mezza Italia in orizzontale. Il che, lo sanno tutti, presenta parecchi ostacoli di viabilità. Ma alla fine con la mia macchinetta nuova mi sono goduta la strada all'andata e molto di più al ritorno, che non avevo lo stress (inevitabile nel mio caso) di arrivare in tempo. 


Prima tappa, il convento dei Cappuccini dove i due si sono sposati, il 9 luglio di, appunto, 25 anni fa. Una chiesetta raccolta, alla fine di una strada in salita nel verde fino al convento. Molto carino vederli celebrati nei sorrisi e nell'affetto. Letizia con il bianco, come si conviene alla sposa. E la stessa foto, loro due di spalle che si incamminano, racconta del tempo passato, dei figli già grandi, di altri progetti. Un giro di boa, che è bello veder sottolineare con allegria e l'energia di guardarsi negli occhi per proseguire. 



Ai tavoli sparpagliati sotto i tigli, tutti si mescolavano con la naturalezza di chi si conosce da (almeno) 25 anni. Un pranzo da film.  Le tovaglie con le papere patchwork che la mamma di Letizia ha fatto cucire tanti anni fa e delle quali racconta orgogliosa. Come della genesi della casa, all'inizio poco compresa e poi diventata richiamo per tutta la famiglia. Storie e storie che si intrecciano. Ricordi che si ravvivano. La torta che suggella. L'ironia che fa da cemento. 


Tornando, mi sono fatta due conti: anche sposandomi domani e tralasciando il dettaglio che veramente non saprei con chi, il traguardo dei 25 anni di matrimonio non lo raggiungerei proprio in età decente. Anzi, nemmeno sommando i miei due matrimoni naufragati arrivo a 25 anni. Il solito difetto dell'impazienza. 




giovedì 7 luglio 2016

Il cuore di Emmanuel

 


L'assassinio di Emmanuel Chidi Namdi sta suscitando, a ragione, uno sdegno per una volta traversale e (quasi) unanime. La violenza insensata contro un giovane nigeriano, già sfuggito alle persecuzioni di Boko Haram, ucciso perché difendeva la moglie da insulti razzisti, lascia di stucco. Il suo omicidio, però, si inserisce perfettamente in una cornice di odio diffuso, di toni rabbiosi, di caccia a streghe e/o untori che nulla ha di razionale e che viene alimentato giorno dopo giorno. Soffiare sul fuoco delle paure e delle incertezze alimentando incendi di xenofobia e razzismo è scellerato e molto pericoloso. Queste posizioni forse nell'immediato “fruttano” qualche voto in più, ma hanno un prezzo umano, sociale e politico altissimo. Imbarbarire il clima ci condanna a un nuovo Medioevo, oscurantista e ripiegato, non risolve il problema, semplicemente lo rende spauracchio e allontana la soluzione. La risposta al razzismo deve essere granitica. La condanna pensante e senza sconti. Questo va da sè. Però non basta. Bisogna lavorare sulle mentalità, ribaltare i pregiudizi e e trasformarli in ascolto. Il che non significa braccia aperte incondizionatamente. Certamente, però, intanto lasciamo le pistole  -vere e ideologiche- nelle fondine, anzi chiudiamole proprio a chiave in qualche cassaforte remota. Tanto, se ne facciano tutti una ragione,  la storia non si ferma e nemmeno l'ondata di migrazioni mondiali. Perciò, facciamo un bel salto in avanti e dal Medioevo andiamocene direttamente nell'illuminismo. Un esempio alto in questo senso viene proprio dalla compagna di Emmanuel, Chimlary, che ha deciso di donare gli organi del suo uomo. Qualcuno, bianco o nero, chissà forse anche razzista, vivrà per mezzo di Emmanuel. Un gesto che è una risposta di pace. E che meriterebbe rapido contagio.