venerdì 26 agosto 2016

Forza e coraggio, siamo europei



Una delle famose mondanità capalbiese, stasera, alla Ferriera dei Pietromarchi,  all'antico confine tra la Toscana e Stato pontificio,  con Giorgio Napolitano e i ministri degli Esteri italiano Paolo Gentiloni e tedesco Frank-Walter Steinmeier. Tra molte cortesie e altrettanti ossequi, una cosa mi è sembrata chiara: l'Europa a due velocità é anche a due passi da ora. L'incontro di Ventotene non è stato solo simbolico, ma una specie di prova generale, quasi a vedere l'effetto che fa. Il coro é intonato: non possiamo lasciare che Brexit ci condizioni. Lo dice chiaro un Napolitano in gran forma (non è il mio preferito negli ultimi anni, però, davvero, chapeau a piglio, cultura e lucidità politica): “Non possiamo restare fermi dopo il leave britannico, e non possiamo nemmeno rimanere per molto nello stato di sospensione. Anzi, non esagererei troppo in delicatezze nei confronti di una classe dirigente britannica che non ha nemmeno il coraggio di assumersi le sue responsabilità e cincischia con il Trattato. Diciamocelo, quella decisione è stata una sconfitta dell'europeismo, ma dobbiamo saper risorgere dalle nostre sconfitte, senza cedere al rancore, ma analizzando quello che è successo oltre l'iniziativa di un gruppo di irresponsabili leader o pseudo tali. Minacce e sfide non aspettano, sicurezza e crescita hanno urgenze e bisogna portare avanti decisioni già prese, non possiamo mettere tutto nel congelatore aspettando il primo ministro britannico”. Sferzante e perfino sprezzante, il nostro ex Capo dello Stato, con la lontana Albione (perfida, in effetti, suona un po' eccessivo, quasi caricaturale, oggi come oggi). 


Steinmeier ha fatto un intervento in un misto tra (buon) italiano e tedesco (tradotto in cuffia), a dimostrare che ci conosce e ci vuole perfino bene. Non come quell'antipatico di Schäuble, sempre lì a farci le bucce con i conti di qua e le regole di là. Stenmeier invece ha scelto le affabilità e le sintonie. E rincara: non facciamoci distogliere dallo spirito di Ventotene. E qui giù a ricordare tutti gli europeisti italiani e tedeschi e le belle tele tessute insieme. “Intolleranze e populismo hanno la meglio oggi in molti paesi e io che spesso sono a colloquio con i ministri dei paesi più a est spesso fatico a non perdere di vista lo straordinario che c'è nel nostro progetto comune europeo. Le idee di Ventotene hanno influenzato generazioni di europei e sono quasi diventate realtà, mentre oggi sono quasi messe in discussione. È facile inveire contro il capro espiatorio Bruxelles, ma mettiamoci bene in testa che problemi come clima, immigrazione, sicurezza non potranno essere risolti da soli dai paesi europei che però, invece di mettersi a lavorare perdono tempo senza trovare soluzioni. Ricordiamoci che tutto sta nelle nostre mani. E che il processo di intergrazione europea non è mai andato da se, siamo noi a decidere e a farlo andare avanti”. E quindi? E quindi il concetto é chiaro: “Ora dobbiamo accettare le differenti visioni di Europa e solo dimostrando che l'Europa fa ciò che promette, potremo (ri)conquistare fiducia. Anche i tedeschi devono interrogarsi se hanno fatto bene in passato. Ma Germania e Italia insieme potranno fare da precursori in molti campi”. Eccoci di nuovo qui al “gruppo di testa”, dunque. Per concludere Steinmeier torna all'italiano e augura un bel “Forza e coraggio” all'Europa.  


A Gentiloni non pare vero di sottolineare quanto vada d'accordo con “Franz”. Tra parentesi: che ci sia una direttiva di questo governo, di chiamare per nome gli omologhi di altri paesi, manco fossero i migliori amici. Il primo è Renzi, sempre lì a parlare con (e di) “Angela”, “Francois” “Barak”. “Chi crede nella UE deve saper osare e rischiare,  dobbiamo riuscire a tenere insieme due elementi: non strappare il tessuto delicato dell'Unione e costruire tra i paesi disponibili livelli più avanzati di integrazione, traducendo questa maggiore sintonia in risposte concrete sui temi che interessano sul serio i cittadini: sicurezza, immigrazione, economia. Dietro a queste politiche c'è per forza il disegno di una integrazione maggiore  e più flessibili tra i paesi disponibili. Non possiamo farci fermare dall'ultimo della fila o si ferma l'Europa intera”. Più chiaro di così! Non so dove andremo a finire, ma devo dire che l'Europa a 28 (o 27) non mi ha mai convinto per tante ragioni allora confuse per me e adesso molto evidenti a tutti. Perciò, non mi dispiace l'idea non di un gruppo di “capetti”, ma di paesi più fortemente europeisti che scelgano la maggiore integrazione, il ragionamento comune, il dialogo politico e concreto non mi dispiace affatto. Potrebbe essere il nucleo di una nuova Europa. Magar, dovesse funzionare, poi ci vogliono entrare tutti. Però, eventualmente, stavolta, ricordiamoci di più di idee e ideali, di cultura e storia, invece che pensare solo ad “allargare i mercati”. Perché, alla fine, pure i mercati non possono fare a meno della politica. 



venerdì 19 agosto 2016

La pace per il futuro di Omran e i suoi fratelli





E dopo Aylan sono toccati a Omran i tristi onori della cronaca. Bambini simbolo di dolore e disumanità, immagini di guerra scioccanti, destinate ad entrare nella storia e a colpire le coscienze. Ma, purtroppo l'orrore viene spesso relegato al “giorno prima” e il quotidiano ottunde l'indignazione. Eppure, c'è ben altro oltre le foto dei bambini, occhi polverosi di chi ha già visto troppo. Non basta proprio sentirsi stringere il cuore. In Siria va in scena una strage degli innocenti che prosegue giorno per giorno, ora dopo ora, casa dopo casa. Il problema dei profughi che si riversano a migliaia in Occidente non può più essere risolto con una sorta di "ricollocazione" in questo o quel Paese, con il conseguente rimpallo di responsabilità e accoglimento tra diplomazie. Non è concedendo a Erdogan di diventare sultano, calpestando popoli e diritti, che si arriverà a una soluzione. Così si nasconde solo il problema sotto il tappeto e, diciamocelo, quel tappeto turco non lo vogliamo in casa nostra, ma non dovremmo tollerarlo in alcun luogo. E perciò, è  davvero arrivato il momento di prendere atto che il cammino dei migranti non deve cominciare. I siriani devono poter abitare casa loro. E dunque, lo sforzo massimo del mondo che pensa e sente deve essere per riportare la pace in Siria, in modo che quella terra torni un futuro possibile. I bambini come Aylan e Omran hanno il diritto di crescere, studiare e giocare in casa loro, con le loro famiglie unite e al sicuro.  Affrontare, e pure malamente, il problema dell'accoglienza -vissuta appunto come un peso, una invasione, un incubo- si può risolvere solo se si pone fine a una guerra dalle molte ragioni, nessuna delle quali, diciamocelo, nobile e alta. La compassione del mondo per i bambini feriti o uccisi non vale niente senza soluzioni, l'emotività si scioglie nell'acqua dell'impotenza. E non per caso, direi, nessuno dei cosiddetti grandi della terra ha speso una parola su quella foto. Non c'è tempo, non c'è tempo, si diranno, siamo occupati a salvare il mondo... Ma per Omran e i suoi fratelli, tutti i bambini siriani e quelli delle guerre in ogni fondo di mondo, l'unico futuro accettabile è la pace. In casa loro. 


giovedì 4 agosto 2016

Ritorno a casa



Non c'è niente da fare, tornare a casa è tutta un'altra storia. Si ritrova un pezzo di se stessi che è solo in quegli angoli, in quelle viste familiari, nei dettagli ripetuti nei secoli dei secoli,  nei rituali. Che poi sono pure arrabbiature, non si può nascondere. Quando le cose non filano dritte e saltano fuori le magagne dove gli sguardi (pur salatamente) prezzolati non si soffermano. Funziona sempre così, quando torno a casa in campagna. Mi faccio per prima cosa un bel giro del giardino, spesso ancora prima di aprire la porta. Controllo che il ”mio” pino stia bene, ho piantato ...X... Anni fa un misero pinolo e mi è venuto un bel giovanottone alto e capelluto.


 Poi vanno guardati i gerani, il glicine, la palla di neve che non vedo mai in fiore come le peonie che ho pure piantato io. Qualche lutto botanico c'è sempre da registrare. Quest'anno, per esempio la siepe di bosso non si sente tanto bene, anche se forse si può recuperare. Il bosco è stato potato in inverno. Così  adesso abbiamo di nuovo la vista sulla valle del Tevere con il Soratte in fondo, ma il sottobosco si è scatenato ed è diventato selva da affrontare con il machete. Fortuna che ne ho uno portato dal Costarica, ai tempi in cui facevo dry forest conservation nel parco di Barra Honda. Sarò un po' fuori allenamento, ma ci vuole poco a rimettersi in forma. 



Aver tagliato il bosco dopo anni, comporta anche giochi di luce dimenticati. Il patio é di nuovo assolato fino alle otto di sera e per vedere il tramonto non bisogna arrampicarsi sul tetto (che peraltro sono anni che diciamo che andrebbe rifatta la copertura). 

 
Tra gli elementi di impazienza suprema, per me c'è il non trovare gli oggetti nei posti dove sono sempre stati. Vado ai pazzi per una chiave spostata o per altri minimi cambiamenti. Tutto da scoprire perché, ma anche no, mi accetto come sono e via. A certe cose ogni bisogna dire addio, altre mi riprometto di restaurare e qualche volta lo faccio anche. La mia sediolina di vimini e bambù l'ho riverniciata con il coppale almeno tre volte. Ma certo, gli inverni all'addiaccio le fanno tornare gli acciacchi. 
Elemento irrinunciabile di ogni soggiorno in campagna è il fuoco. In ogni stagione a me piace cuocere sulla brace, carne preferibilmente, ma mi cimento anche con le verdure. E faccio grandi barbecue pure se ci sono trenta gradi. Non so se sono tutti contenti.  


Comunque, il bello di queste vacanze, che ormai sono solo spot perché i ragazzi sono grandi e non vengono più di tanto, e noi adulti facciamo la spola, sono i riti collettivi. Ritrovarsi tutti insieme è sempre più raro e this is the place. Qui si susseguono i ricordi e le stagioni. I cani e i gatti. I libri. 
Tornare qui mi fa sentire di più una “traditrice”, visto che ormai i week end li passo altrove. Ma, pur stando benissimo dove sto, il cuore no, quello resta qui.