sabato 17 settembre 2016

Questione di costume




Tra gli effetti del referendum, forse collaterali, forse no, c'è anche una specie di sospensione della vita che, dall'alto al basso, condiziona, e un po' paralizza anche, la vita politica e non. Da qualche tempo in qua non si fa che sentire la stessa solfa: aspettiamo di vedere cosa succede con il referendum.., oppure, passato il referendum si vedrà... O in variante, appena si saprà la data del referendum sarà più chiaro... Le declinazioni dell'attesa si propagano anche in rivoli inaspettati e il ritornello fa capolino anche dove non dovrebbe. Sta di fatto che in una fase economica nella quale tra le cause maggiori della mancata ripresa è additata esattamente l'incertezza, questa sospensione cristallizzata fino  alla pronuncia dei cittadini sulla riforma costituzionale è un potente ricostituente per la crisi. Nessuno si muove, passi non se ne fanno per paura di prendere la direzione politicamente sbagliata e il time out è diventato infettivo a cascata. 
Lasciamo perdere la noia sulla personalizzazione del dibattito. Il dado è tratto, non si può personalizzare o spersonalizzare a piacimento, ormai nessuno toglierà al voto un bel di margine di pro o versus Renzi con tutto quel che ne deriva. Tanto più che le promesse piovono su questa o quella categoria come manna dal cielo e, suvvia, chi può evitare il retropensiero di captatio benevolentiae in vista di questa benedetta consultazione. Aspettiamo dunque a pie' fermo la fatidica data (ormai ci siamo quasi, no?) e la pronuncia della Corte sull'Italicum. Anche loro, a quanto si mormora, probabilmente contagiati dal virus del “vediamo l'esito del referendum e poi decidiamo” e dunque propensi a fare del 4 ottobre solo una data cerniera. 
Comunque, c'è di buono che l'interesse dei cittadini per questa riforma della Costituzione si è rinfocolato come poche volte. Più interesse da bar, per la verità, che approfondimento, nella maggior parte dei casi. Però la voglia di saperne di più si espande. E mi è capitato di essere invitata a casa di cari amici, Nuccia e Giovanni, che hanno chiamato a raccolta un po' di persone -non giornalisti, grazie al cielo- ad ascoltare un costituzionalista per il No. Un bel terrazzo, ottimo cibo, conversazioni consapevoli e curiose, generazioni diverse. 
La cosa più interessante che è emersa, secondo me, è che la chiave di tutti i mali sta nei comportamenti molto più che nelle leggi. Lo sciorinare di tutte le obiezioni, tecniche, politiche, giuridiche, sui costi, alla Boschi-Renzi quasi si annulla di fronte a questo scoraggiante assunto. 
Dice il costituzionalista e io sono totalmente d'accordo: “Noi stiamo dando alla Costituzione vizi che appartengono ad altro. Il problema non è se la riforma sia o meno desiderabile, ma su quale tessuto si innesta. Ma è realistico pensare che il problema dell'Italia sia questo? La Costituzione deve essere la vittoria di tutti contro nessuno. Non a caso tutti gli Stati prevedono una maggioranza molto più alte di quella assoluta per cambiarla. Perché è giusto che la riforma costituzionale sia difficile. Inoltre, le regole vanno stabilite insieme. Il solo fatto che una maggioranza si sia approvata questa riforma in solitudine è preoccupante. Anche come precedente storico perché apre la strada al principio che la Costituzione non è più di tutti ma del governo di turno. 
Se vogliamo essere riformisti, riformiamo tutto: sanità, scuola, università ecc. Ma non la Costituzione. Sfido chiunque a trovare un cittadino che, se dovesse scrivere su un foglietto i 5 mali maggiori dell'Italia, annovererebbe tra questi il bicameralismo perfetto o paritario che dir si voglia. La mancanza di cultura politica impone un rafforzamento delle garanzie costituzionali, non il loro indebolimento”. 
Il professore ha messo in rilievo un punto centrale del problema. Le regole possono essere le migliori del mondo, ma se chi le deve utilizzare pensa solo ad aggirarle o a neutralizzarle, non sono le regole il problema. Soprattutto in un paese che ha condensato la sua filosofia spicciola nel detto agro “fatta la legge, trovato l'inganno”. Perciò, a parte le questioni da costituzionalisti che lascio a loro, penso che questa riforma abbia alcuni peccati originali. Essere stata approvata a maggioranza, con la fiducia, e per di più con maggioranze ogni volta variate, segno inequivocabile che si è trattato di convenienze partitiche se  non proprio personali e non di profondi convincimenti politici. Insomma, una legge viziata dal peggior trasformismo. Con il suo corollario diretto: d'ora in poi ognuno potrà fare riforme costituzionali a sua immagine e convenienza contingente, sopratutto godendo di una maggioranza parlamentare resa più o meno invulnerabile e onnipotente dalla legge elettorale e non espressione della volontà dei cittadini. E poi, onestamente, ma davvero non sarebbe stato meglio dedicarsi ventre a terra a trovare soluzioni per i migranti e per abbassare sul serio le tasse, o costruire un mondo del lavoro che rifletta sul serio gli equilibri sociali e ne incentivi i lati positivi, lasciando a secco improduttività e illegalità? Perché dedicare così tanto tempo al bicameralismo, pure da abolire, invece che alla lotta alla corruzione che strozza la nostra economia in culla? Dedicare tempo, intelligenza e denaro a fingere di rottamare il Senato, rendendolo invece solo meno autorevole e più opaco (con queste norme potremmo avere una Minetti o un Fiorito senatori e dunque protetti da immunità) e sicuramente non molto meno costoso, non è un controsenso? Insomma, argomenti di riflessione politica ce ne sono parecchi. Serpeggiavano su quel terrazzo, con genuino interesse da parte degli ospiti. E questa è una ottima notizia, la curiosità è la peggior nemica del qualunquismo e del lasciar fare. 

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