sabato 26 novembre 2016

A Santa Prisca edizione speciale della Festa dei poveri



Sono stata di nuovo stamattina ad aiutare per la Festa dei poveri di Santa Prisca. Occasione speciale, oggi, si festeggiavano i sessanta anni di sacerdozio di don Antonio, che non dimostra la robusta età di 84 (alcuni dicono 85) anni e che si é aggirato per i tavoli, scherzando e chiacchierando con tutti i commensali. In via del tutto eccezionale sono venuti pure due ragazzi giovani che hanno cantato per tutto il pranzo. Certo, il tutto era un po' arrangiato e così la musica non è arrivata proprio dappertutto. 


Molto diversa l'atmosfera dalla prima volta. Intanto, più persone. Tutti i tavoli erano pieni, continuava ad arrivare gente e la pasta è finita prima di poterla dare a tutti. In compenso würstel (di pollo in rispetto ai musulmani) e fagioli a volontà. Tanto che molti sono andati via con un paio di salsicce nella Rosetta, magari per cena. Abbiamo anche avuto  una “recensione” negativa da parte di una specie di colosso proveniente di sicuro da un paese dell'est, che, andando via, ha cominciato a gridare che il pranzo faceva schifo, nell'aria (non nel cibo) c'erano le mosche e le donne che stavano lavorando li (cioè noi) erano tutte puttane. Vabbè, speriamo che non lo metta su TripAdivisor... Ma di persone un po' sgradevoli, oggi, ce n'era più d'una. Un gruppo di uomini arabi, per esempio, molto aggressivi e sprezzanti. “Lei, signora, è magra, si conservi così, mangi poco e porti altro cibo”, ha detto uno di loro alla persona che serviva il suo tavolo. Insomma, eccezioni più numerose. Poi però c'era un giovane molto ben vestito e pulito, educato e sorridente. Si chiama George, viene da Filadelfia (Usa)  e dopo aver lavorato per un periodo in California, è venuto in Italia per studiare filosofia e teologia. Certo, se è finito al pranzo dei poveri non se la deve passare molto bene come studente... Per la prima volta (per me) sono venuti anche bambini. Un paio di ragazzini sui dieci anni con mamma e papà e una piccolissima di poco più di un anno, peruviana. “Lei è Anna, è nata a Roma”, mi ha detto orgoglioso il papà in un italiano non proprio fluente. E ha proseguito: “noi parliamo poco la vostra lingua, ma ad Anna cerchiamo di parlare in italiano. Vogliamo che sia italiana”. E avoglia  a cercare di spiegare l'importanza dello spagnolo nel mondo rispetto all'italiano, non c'è stato verso. Italiano deve essere. E italiano sia, allora. 
Dopo pranzo parecchi sono andati via subito. Una donna invece mi ha colpito. Accento del nord, mi ha guardato e mi ha detto: “però è anche bello restare un pochino seduti in questo giardino bellissimo a godersi il sole”. Perché poi, alla fine, c'è pure un cibo dell'anima. 




giovedì 24 novembre 2016

Il paradiso degli altri



Qualche sera fa sono stata alla proiezione romana del documentario "Il Paradiso degli altri", tutto girato a Pantelleria e nato dall'incontro culturale tra Anna Silvia e Nicola Ferrari. Anna e Nicola sono sposati da un po' di anni e tra loro la scintilla si è fatta idee e progetti. Conosco Anna da qualche mese, lavoriamo insieme ogni giorno, mentre Nicola l'ho solo incrociato di sfuggita qualche rara volta. 


Lei ha eleganza, spirito e un serissimo ruolo, lui fa regia, va controcorrente e se ne rileva a prima vista l'insofferenza acuta. I due in apparenza non potrebbero essere più diversi, eppure questo documentario dimostra che la complementarietà esiste eccome. 
“È una storia di protesta”, lo presenta lui. Lei lo dedica al papà scomparso da poco. Davanti alla sala piena si emozionano entrambi. Luci abbassate, la storia inizia e cominciano ad intrecciarsi le vite degli  otto protagonisti che hanno scelto Pantelleria come posto in cui vivere.



Anna, Claudia, Helena, Maria, Karin, Gigi, Peter, Sebastiano appartengono a generazioni diverse e a diverse storie di provenienza. Ma tutti hanno detto basta alla routine grigia e si sono tuffati con temeraria consapevolezza in un futuro lontano da obblighi imposti da convenzioni altre. Obbiettivo: una vita a misura personale. Non è una rivoluzione, ma una scelta caparbia e assaporata ogni giorno, magari anche con bocconi aspri, ma mai amari. La frase che Seneca rivolge a Lucilio "Nulla ci appartiene, solo il tempo è nostro", che precede le prime immagini del film, sintetizza la scelta.
“Il Paradiso, che nella sua radice etimologica indica il giardino, un luogo per eletti a cui non tutti possono accedere, accoglie chi cerca una qualità del tempo in sintonia con la propria vita, i propri ritmi, in base alle priorità di una scala di valori costruita autonomamente -spiegano Anna e Nicola- I protagonisti di questo lavoro non vivono l'Isola come un "buon retiro".



 A Pantelleria, lavorano, creano, producono, coltivano, svolgono attività commerciali, ma la differenza è nella gestione del tempo, nella possibilità di dedicarsi a tutto quello che "merita" secondo il loro personale giudizio, che può essere sedersi ogni giorno a tavola con la propria famiglia, dedicarsi alla coltivazione dello zibibbo, o immergersi in una mattina invernale nelle acque calde del lago "Lo specchio di Venere", prima di iniziare la giornata”.
Il racconto scorre lento, ma a paradossalmente veloce. A me è piaciuta assai Maria, ultra ottantenne indomita e consapevole del valore del tempo minimo che le resta da consumare e decisa a farne gioiello. Ironica e talvolta un po' nostalgica si arrende solo ai limiti della natura. I personaggi appaiono e scompaiono, non si vedono negozi, o attività commerciali. Pantelleria risplende nel suo carattere invernale, fatto di vento teso, cieli ingarbugliati e mare energico. Ognuno dei personaggi mostra la sua personale versione di Pantelleria. Ovvero del paradiso. 


A fine proiezione, Anna e Nicola hanno pensato di rinforzare l'immagine dell'isola con qualche sapore importato: vini dal gusto davvero unico, crostini imbanditi con i prodotti delle terra. A dimostrare che  Pantelleria non è solo estate e mare, ma anche terra e vita quotidiana. 

domenica 20 novembre 2016

Shopping, what else?



Un week end a Londra in compagnia della figlia prevede inesorabilmente una lunga sessione di shopping, anche in considerazione della debolezza accogliente della sterlina. Bisogna prima di tutto osservare che gli allestimenti sono fastosi. Non tanto gli addobbi pre natalizi delle strade che sono belli, ma insomma, non stupefacenti (almeno quelli che ho incontrato io). Piuttosto parecchi negozi hanno arredamenti temporanei o permanenti davvero interessanti. Splendido, per esempio, questo giardino verticale interno alto più di dieci metri. E che dire del pianista dei fiori? 



In generale l'attenzione al piacere dell'occhio non fallisce. Mi dichiaro invece apertamente meno entusiasta della qualità. È anche vero che abbiamo battuto un'area simile a via del Corso e dunque, che aspettarsi? Però la quantità di abiti e accessori a tutto tondo di orrenda fabbricazione  che ho visto, tastato, scartato è stata defatigante per occhi, tatto e spirito. Molto meglio è andata quindi per la carta di credito. Mi sono difesa strenuamente dagli attacchi di abitucci sintetici, impossibili paillettes e capini malamente assemblati, vietando anche senza mezzi termini a Flaminia di soccombere al loro a me invisibile fascino. In compenso, mi sono innamorata di una splendida  borsa che avrei voluto a tutti i costi far trasferire in Italia e che tuttavia ho abbandonato al suo destino isolano visto il sussiegoso costo di 880 pound. Vabbè, bella ma proprio non ballava.


Molto divertente invece il raid nel supermercato giapponese: due piani di prodotti Made in Japan, ogni bendidio  che un giapponese all'estero può desiderare: dalle ciotole al tè, da vegetali undentified a chilometri di sushi e sashimi di ogni combinazione di colori e ingredienti. Certo, c'è il piccolo dettaglio che il pubblico é comunque ristretto al Sol Levante perché non c'è uno straccio di traduzione di un diavolo di niente. Quindi, per alcuni prodotti è anche difficile individuare l'uso: le foto sgargianti non sempre aiutano un granché e quindi finisce che, rigirata da ogni lato la confezione, ci si rassegna a lasciarla lì. Un mondo a parte, insomma. Assai impenetrabile.



Comunque,  ci siamo divertite anche in mezzo al brulicare esasperato dello shopping di un sabato non troppo lontano da Natale, con una bella giornata di sole nemmeno troppo gelida. 

sabato 19 novembre 2016

Duck and waffle



Duck and waffle merita un piccolo omaggio a parte. Intanto perché la cucina è aperta fino oltre le 11 pM e a Londra non è una cosa banale. E poi -diciamo soprattutto, suvvia- perché volteggia al quarantesimo piano della Heron tower e posso assicurare che le foto non rendono minimamente giustizia alla bellezza. Già salire è una emozione. 


L'ascensore vola verso l'alto e dalle pareti trasparenti Londra supera la barriera dei palazzi e si scopre a perdita d'occhio: milioni di luci brillano nella notte e un po' sembra di essere Peter Pan e di aver lasciato a terra anche la propria ombra. Salire toglie il respiro. Letteralmente. Va da sè che  il posto è super trendy, dunque affollatissimo e rumorosissimo. Buio parecchio, anche, per non dar fastidio al panorama.  A noi è capitato un tavolo bellissimo, proprio attaccato al cristallo e le vertigini soccombono all'emozione. 



Si mangia perfino bene, con una bella cucina a vista dove una decina di cuochi e sottocuochi sfrecciano e sfidano la collisione al secondo. In effetti il servizio è rapido e il cibo ottimo. Un benvenuto spettacolare, per me. 

Arrugginita



Non viaggiavo da un po'. Anzi da parecchio. Anzi da troppo tempo. Così anche un voletto a Londra per visitare Flaminia ha assunto contorni quasi avventurosi. Prima novità ho scaricato Uber e mi sono fatta accompagnare a Fiumicino. Però, visto che ero una neofita, credevo di poter impostare l'orario in cui farmi venire a prendere e invece quello é partito appena l'ho chiamato. Quindi, già io mi muovo con ridicolo anticipo, in questo caso mi sono trovata a partire a un orario insensato. Comunque mi sono trovata benissimo. È arrivato Antonio con un bel Mercedes nuovissimo, ovviamente pulitissimo, temperatura interna perfetta, appena vedeva un piccolo grumo di traffico rimodulava il percorso. Insomma, ottima esperienza, a parte il fatto che sono arrivata in aeroporto davvero in larghissimo anticipo. Evito di quantificare per non espormi a inevitabili -e giustificati- motti e dileggi. Andiamo avanti. A tempo debito è finalmente arrivata l'ora dell'imbarco. Si è formata una ordinata fila davanti al desk, dove era ovviamente indicato il volo, quando la hostess, senza alcun motivo apparente, ha gridato: “per Londra qui”. Non l'avesse mai fatto. È stato come suonare una carica, incitare all'arrembaggio. La fila ha perso forma per diventare una mappazza frenetica accalcata al gate, con passaporti sbandierati manco fossero segni del comando. Le persone spingevano come non si fa più nemmeno allo stadio. Una situazione assurda. Per fortuna io ero all'inizio e mi sono risparmiata gran parte del parapiglia. Saliti a bordo, non so perché si sono create isole con clima da gita scolastica, altri protestavano per la difficoltà di incastrare nella cappelliera bagagli a forma di contrabbasso o enormi valigie con oltre un metro quadro di stazza. Insomma, tutti i connotati di un charter, più che un low cost. Inclusa una sorta di overbooking con gente ancorata a sedili qualsiasi e incurante delle coordinate della sua carta di imbarco. Io poi sono capitata nella fila dell'uscita di emergenza per cui sono stata bruscamente privata di ogni effetto personale, libro incluso, fino a decollo inoltrato. A parte che il libro, ho scoperto poi con raccapriccio, l'ho proprio perso chissà dove, l'arrivo a Gatwick ha comportato una interminabile fila per comprare il biglietto del treno (due casse aperte su almeno otto) e treno medesimo con 20 minuti di ritardo. Vabbè. Dice che gli inglesi sono tanto puntuali e precisi nei servizi, ma io ogni volta che vado mi scontro con ritardi e corse soppresse che se fossi in Italia darebbero la stura altroche a invettive. In conclusione, però, Londra ti ripaga con la sua bellezza e vedere Flaminia venirmi incontro sorridente mi ha fatto superare anche lo shock di passare dai 20 gradi di Roma ai 2 locali...