venerdì 27 aprile 2018

Parassita di carriera



Eleonora è una bella donna entusiasta, sui quaranta. Da almeno dieci ha aperto un centro estetico nel mio quartiere. Un posto piccolo, che trasuda entusiasmo e voglia di fare. Eleonora da sempre fa le cose come si deve. Lavora, studia e si aggiorna, propone nuove tecniche e acquista macchine moderne. Non è gratis, tutto questo. Lei non è nata seduta sul capitale e la fatina sulla culla le ha regalato un po', ma di certo non la manna dal cielo.
Grinta, coraggio e fantasia, condiscono da sempre lo spirito d'avventura imprenditoriale di Eleonora. Assume, lei. Con tutte le carte in regola. Contratti veri, di apprendistato, che non esita a trasformare in indeterminato se le ragazze valgono. Se una di loro ha un problema, l'ho sempre vista dare una mano, cercare una soluzione. Mai mettere alla porta. Piuttosto riprendere anche le figliole prodighe. Una donna che lavora, con un figlio piccolino da tirare su (più o meno da sola) senza fargli mancare niente. Nemmeno i principi e le regole. 
Qualche giorno fa mi racconta una storia che io giudico di horror contemporaneo, che la dice lunga su una certa italica mentalità. Una storia che rappresenta l'altra faccia del mondo rispetto alla sua o a quella di Flaminia. O la mia. 
Vengo al dunque, va. 
Una ragazza del centro estetico, assunta con contratto di apprendistato, al momento di un primo contratto a tempo determinato da trasformare poi in indeterminato, ha declinato l'offerta. Motivo? “Sai, preferisco prendere la Naspi. Sono quasi mille euro. E altri, se voglio, li posso guadagnare in nero. Ma intanto mi faccio un bel periodo lungo a casa senza fare niente. Per le spese in più, mi faccio mantenere dal mio fidanzato”. 
Ecco. Vogliamo dire che ci sono giovani che ragionano così? E forse anche adulti. Vogliamo dire che se l'obiettivo è “sfangarla” per una manciata di mesi. Per cominciare. E poi, magari una malattia qui, una gravidanza li, una provvidenziale depressione, assenteismo a gogò, ecco profilarsi un decennio almeno di carriera da parassita. Sgomenta, mi pare, la mancanza non dico di ambizione, ma del semplice amor proprio. Esiste ancora chi, pur avendo capacità e possibilità,  immagina la vita come percorso netto, una furbata dietro l'altra, le spalle altrui come comode stampelle. 
Insomma, una strada senza sbocco. Materiale e intellettuale. 



lunedì 23 aprile 2018

Flaminia va in tivù



Ebbene sì, ancora su Flaminia. Possiamo dire che è il mio argomento preferito? E proprio questo mio parlarne in continuazione, cantandone le gesta, ovviamente, l'ha portata a Unomattina a raccontare di sé e del suo percorso che l'ha portata nella polizia britannica. Eccola ospite dell'angolo Italiani nel mondo, a tu per tu con la conduttrice Benedetta Rinaldi, disinvolta e sicura, con quel filo di ironia che la illumina come un gioiello. 
Il tutto nasce da una chiacchiera sulla spiaggia con uno degli autori, collega e amico da anni. Il solito aggiornamento sui figli e a Marco scatta la curiosità. “Poliziotta in Inghilterra? Ma questa storia la portiamo in studio!". Ci abbiamo messo quasi un anno, ma alla fine eccola lì a sciorinare con leggerezza anni entusiasmanti ma di certo coraggiosi, a volte difficili e solitari. Ed eccomi a farle da materno ufficio stampa, controllare la scaletta, monitorare trucco e parrucco, scattare 'foto di scena', avvertire il 'suo pubblico' (ovvero padre, nonna, zii, cugini), prendere gli accordi logistici. Manco nel lavoro vero lo faccio... Non a caso è un ufficio stampa "materno", quindi incondizionato. 


 Flaminia è cresciuta a diciannove anni. Ha vissuto da sola, si è occupata di conti correnti, bollette, mutui, acquisto dell'appartamento e così via. In cinque anni ha condensato esperienze adulte a tutto spiano. Non sempre in discesa, no? I mille traslochi,  peregrinando tra case condivise, inquilini incompatibili, combattendo per il concetto di proprietà privata (almeno del prosciutto, per dire) e di rispetto. 
Ora è una giovane donna indipendente, capace di trasformare i sogni in aspirazioni e le capacità in obiettivi. 
Certo, il suo italiano non è più fluente come prima, nonostante le nostre quasi quotidiane chiacchierate. Certo, accompagnarla al lavoro per telefono non è come averla a casa o quanto meno in città. Però, i figli vanno messi in grado di volare e quando dimostrano di saperlo fare bisogna essere felici. 
P.s. Della vita da “madre a distanza” farò una riflessione più avanti... 

martedì 3 aprile 2018

Manì, fusion d'autore



Si chiama Mani -o Manì, vai a sapere, come si vede dalla foto il puntino è ambiguo e potrebbe presupporre un accento- è un ristorante nippo brasiliano di quelli che tra un po' ce ne saranno a bizzeffe perché stanno decisamente diventando di moda. Questo qui, però, è un pioniere e sta facendo le cose per benino. Recensire un ristorante non è la mia specialità, quindi tralascerò i dettagli tecnico gastronomici che non mi appartengono. 


Mi interessa di più dire che si mangia benissimo con accostamenti di ingredienti anche poco Plausibili, ma di certa soddisfazione per palato e mente. E altrettanto sorprendenti sono la cortesia e la disponibilità dei tre che si sono buttati in questa impresa. Sono due ragazzi e una ragazza brasiliani. Si esprimono benissimo in italiano, con quella cadenza un po' esotica che fa subito venire in mente mango, papaya, avocado, sole e tropici. Niente esuberanza sopra le righe, anzi. I tre trasmettono una timidezza venata di imbarazzo di chi è alle prime armi nel rapporto con il pubblico, ma ha rovesciato tutto il suo entusiasmo nella nuova avventura. Così puntano tutto sulla qualità, dei prodotti e del servizio. 
La prima volta che sono entrata, sarà stato metà marzo, il locale era vuoto. Da fuori non si capiva bene se fosse un ristorante o un bar, quindi l'idea era un aperitivo di assaggio. Loro, un po' sconcertati, ci hanno accolto, nonostante sia risultato poi chiaro che è proprio un ristorante e le 19 un orario non esattamente appropriato. 
Nonostante ciò, Aldo e i suoi soci si sono prodotti in autentiche sculture culinarie, meravigliando occhi e palato e suscitando una sorta di euforia estatica. Anche estetica. 


Il motore di Manì è proprio Aldo, chef brasiliano di talento. Ha studiato quattro anni al Cordon Bleu di New York, poi un giro del mondo lavorativo tra Francia, Spagna, Inghilterra e altrove per piluccare il meglio da ogni cultura e ogni cucina. Fino ad approdare a via Salaria, dove opera e crea a vista per la felicità dei suoi clienti. Comunica con il cibo e fa piacere vedere la sua filosofia fare proseliti e riempire poco a poco la sala. Lui progetta. “Abbiamo aperto in fretta, adesso sto studiando equilibri semplici e più economici per il pranzo, e anche i menù cartacei nuovi, più belli, stanno per arrivare”, racconta. Così come le prelibatezze inventate per i vegetariani. O il desiderio di condividere. Ho chiesto spiegazioni su un piatto che si imbandiva su un altro tavolo e lui ne ha preparato un assaggio espresso solo per noi. Insomma, ecco come vorresti essere trattato sempre in un ristorante. 
Ripubblico il post con indirizzo e numero di telefono a grande richiesta 

MANI', LARGO BENEDETTO MARCELLO 203 TEL. 068551114