giovedì 28 aprile 2016

La tomba dell'etrusco



Complice più il tempaccio che la mia solerzia culturale, sono andata a visitare le tombe etrusche di Tarquinia, un bel Montarozzo bucherellato di defunti omaggiati sopra la città moderna. E' un posto di fascino e ben tenuto. Spazzato dal vento, nella 'mia' giornata, con le nuvole spesse che corrono disordinate. Tutte le tombe sono diverse, ma con lo stesso stile.  



 Per arrivarci si scendono scale strette e ripide, poi ci spero a all'ingresso della tomba. Naturalmente non si entra, ma si accende una luce a tempo per vedere senza troppo turbare. Perché i colori sono vividi ma delicati e l'affollamento non giova. 



I colori moda degli etruschi per i loro cari sono decisamente il bianco e il rosso. Sui soffitti disegnano effetti tendone con strisce e fiorellini variamente combinati. Se la tomba è molto ricca ci sono anche rosoni colorati e motivi geometrici. 




Le scene dipinte cambiano secondo l'inclinazione dello scomparso o l'estro dei vivi. Scene di caccia, banchetti, feste, pesca. Nessuno piange nè si duole. Le figure sono sempre di profilo, un po' egizie se vogliamo. Spesso sono raffigurate le porte verso l'aldilà, ma sempre chiuse, che non si sa mai... 




mercoledì 27 aprile 2016

Kentridge, il fascino dell'arte effimera


Triumphs and laments si incontrano a metà strada e scrivono una summa della storia dei popoli in cammino, ieri, oggi, domani. Un canto nomade, che si rinnova e cambia nel tempo come l'arte di William Kentridge. 


Ammetto l'ignoranza, mai sentito nominare prima di questa settimana. Ma il suo racconto sbalzato a negativo sugli argini sporchi del Tevere mi ha affascinato. Le figure le andrò a rivedere alla luce del sole. Con il rimpianto anticipato di sapere che ci metteranno al massimo cinque anni ad annegare nell'acqua o nel ritorno dello smog. 


Diciamo che dal Colosseo il concetto di arte di Kentridge è piuttosto agli antipodi. Lo spettacolo, effimero anche lui visto che è durato lo spazio di due performance brevi brevi, è veramente meraviglioso. I cortei si avvicinano l'uno all'altro sulla banchina. Sono fatti di persone colorate, vestite in varia foggia. Ciascuna porta un emblema e le ombre sul bastione dell'argine lo ingrandiscono lo magnificano. Sono due processioni, una umana, l'altra come di spettri. Si incontrano, si fondono, si separano. Riprendono la strada. Come le voci, che trovano ritmo e dialogo. 


Vederlo dall'altra parte del Tevere è una esperienza. La banchina non ha protezione. A proprio 'rischio e pericolo' (si fa per dire, suvvia) si può arrivare fino all'acqua dove tra i bambù e le canne anche alcune anatre si trastullavano, incuranti del pubblico. C'era pure la luna, chissà se gli organizzatori l'hanno calcolato. Il cielo mezzo mezzo, mischiava il blu notte con il grigio nuvola. Insomma, una serata romana, ma non la solita pigra perditempo. Ho visto una bellezza autentica, l'immagine della Roma colta e attenta al mondo nuovo che questa città potrebbe essere. Uno sprazzo. Ma Roma stupisce sempre, si sa. Sono millenni che lo fa. 


martedì 19 aprile 2016

#leparolevalgono





Sta spopolando sul web la campagna social della Treccani #leparolevalgono per “ridare il giusto peso alle parole". Sarebbe interessante, nonché utile e saggio, traslare questa bella iniziativa culturale nel campo della politica. L'uso più ampio e informato del vocabolario italiano annegherebbe, o quantomeno diluirebbe, nel mare magnum delle sfumature il brutto #ciaone di recentissima nascita, forse arricchirebbe di possibilità la #rottamazione o renderebbe più articolato di #staisereno il pensiero della divergenza, oggi confinato in pochi consumatissimi insulti. Praterie si aprirebbero poi nel campo delle proposte, le idee oggi incarcerate in angusti stereotipi si librerebbero articolate e offrirebbero finalmente generosi spunti di cambiamento. E, chissà, se ne gioverebbero anche i numeri, così autistici senza il conforto estroverso delle parole. 
Penso che se le parole avessero cittadinanza piena e tutti si sentissero orgogliosi di usarle con accuratezza, scegliendole di volta in volta per dare forma a un pensiero e non solo per riempire l'aria, la società avrebbe una cera migliore. Perché le parole valgono, ma pesano anche. 


P.s. Le mie parole sono #coraggio e #cambiamento. Ma non c'è l'uno senza l'altro, no? 

martedì 5 aprile 2016

Il Manuale Cencelli raccontato dai Venditti




Non avevo mai conosciuto Massimiliano Cencelli, prima di questa occasione. Nemmeno mai visto -o riconosciuto- in tutto quel mio annoso peregrinare nelle stanze e soprattutto sui marciapiedi della Dc. Per me era il nome del Manuale Cencelli, pensavo che lui fosse già vecchissimo o morto negli anni '90. Renato Venditti invece lo conoscevo bene. Volevo bene a Renatino, come lo chiamavano in sala stampa alla Camera. Anche noi che avevamo l'età delle sue figlie. Il 12 aprile dello scorso anno Renato è morto. Ma il suo sorriso e la sua ironia sono sempre qui. Tant'è che il 4 aprile c'era proprio un sacco di gente alla Camera, sala del Mappamondo, alla presentazione della, ristampa del suo libro, Il Manuale Cencelli, appunto. Voluto fortemente, da quello che capisco, da Mariella, sua figlia, indomita giornalista del tg3, tutta sua padre per spirito e carattere. E c'era proprio Cencelli, seduto sul palco insieme a Fabrizio Cicchitto, Lamberto Sposini, Aldo Cazzullo e Luca Telese. 



Mi ha divertito  trovarlo in carne ed ossa. La presentazione è stata piacevole. Quanti aneddoti, la Dc e i suoi protagonisti ne sforna di sempre nuovi anche anni e anni dopo la sua fine. E poi, la formula che Renato e Mariella hanno sempre adottato per le presentazioni dei libri (ma è andata così anche per funerale laicissimo di Renato) scorre bene, tra racconti, letture da parte dei due bravissimi attori, Alberto e Luigi, amici di Mariella (mi perdoneranno, non ricordo i loro cognomi), e interventi seri. 
Pensavo, seduta nell'ultima fila. Ma ve lo immaginate l'uso del Cencelli oggi? Oggi le correnti non esistono più. Quando ci sono motivi di divisione in corso, meno ideologici, più poltronistici, se mi si passa il neologismo, si cambia casacca e via. Non che la lotta nella Dc non fosse aspra, ma si restava insieme. Di scissioni, nella storia dei partiti politici italiani del Novecento, se ne contano pochine e sempre epocali. 


Comunque, come si potrebbe applicare il Cencelli oggi? I congressi non si fanno, si fanno Leopolde o altre simil convention acclamanti. E come si potrebbe pesare un capo corrente? Anche nel PD dove il pensiero non è unico, non ci sono congressi, ma rese dei conti. Altro che dare ministeri a correnti alternative. No, questo governo non è stato formato pensando a rappresentare tutti. Anzi, per dirla con Sposetti, “sembra che tutta l'intelligenza politica del Paese sia concentrata nei 60 chilometri tra Firenze e Arezzo”. Non mi é sembrato che ne fosse entusiasta... Immaginare, che so, Civati nel governo. Poi esce dal PD e si dimette? Oppure, se fosse stato dentro l'esecutivo non si sarebbe dimesso? E i verdiniani di Ala, sostenendo la maggioranza con i loro voti, avrebbero diritto, secondo Cencelli, a... Magari ministri no, ma sottosegretari quanti? No, no, non funziona, il mondo è cambiato, e quello del Manuale é diventato storia. Però é stato bello rientrarci per un paio d'ore.