venerdì 27 luglio 2018

Donne in ombra



Tra i concetti espressi da Sergio Mattarella nell'incontro con i giornalisti alla Cerimonia del Ventaglio, il 26 luglio al Quirinale, c'è stato l'appello a “contrastare le tendenze alla regressione della storia”. Un monito da inquadrare in un contesto ampio, fatto di diritti calpestati, princìpi violati, regole malamente interpretate e così via.  L'arretramento culturale e sociale che stiamo vivendo, Mattarella ce l'aveva ieri davanti agli occhi. Ho “rubato” questa foto all'account Twitter del Quirinale perché mostra plasticamente quanto terreno abbiano perduto le donne in pochissimo tempo. La prima fila é completamente occupata da uomini, notava la vicepresidente dell'Associazione stampa parlamentare, Angela Bianchi, seduta vicino a me. 
Di certo la colpa non è del Quirinale o del suo Cerimoniale. Anzi, il Presidente della Repubblica non ha mai mancato di sottolineare, anche nel recente passato, l'importanza della parità e il ruolo delle donne. Le sue celebrazioni per l'8 marzo sono state mai banali e sempre profondamente attente alla questione. I temi scelti per quegli appuntamenti e le personalità femminili invitate a dire la loro e a portare la loro testimonianza prova certa di un argomento sentito e, mi si perdonerà la parola, 'assimilato'. 
 Il problema non sta sul Colle, ma più giù. Credo si stia ri-diffondendo con contagio rapidissimo. Guardiamo il CSM: addirittura nessuna donna nella nuova composizione. E anche il governo ha una quota femminile molto al di sotto di quelli precedenti. Senza parlare di femminicidi e stupri in impennata. Il tempo dell'indignazione  di un titolo, e si passa avanti. Di prevenzione ed educazioni si parla ben poco. E gli interrogatori delle americane che si sono imbattute in due carabinieri diciamo focosi stringono alla gola. 
Le donne, dunque, stanno tornando a casa, ai fornelli, ai ruoli sub-subordinati. Un impoverimento aggressivo che non gioverà. E che non è casuale, ma frutto di una precisa ideologia, legata a schemi e valori che sembravano superati una volta per tutte, ma che invece riaffiorano malignamente. Il soffitto di cristallo (che pur sempre soffitto è) é tornato di cemento armato. E le donne che fanno? C'è bisogno di consapevolezza. E mobilitazione. E dissenso plateale. Non votare chi respinge le donne ai margini. E vorrei che fosse chiaro che non è una battaglia solo delle donne. Anche gli uomini dovrebbero ribellarsi e contestare. Non sono ottimista, per la verità. Che dire? Sono sollevata (e triste) che mia figlia non viva più in Italia. 

martedì 24 luglio 2018

Angela




Quest'anno mia mamma avrà una signora italiana che starà con lei in campagna ad agosto. Dopo qualche telefonata, siamo andate a conoscerla. Ed e stato subito anni ‘60. 
Angela ha, per sua ammissione, 76 anni. Malportati. In apparenza. In realtà è una forza della natura. Trabocca entusiasmo e ti avvince con una ironia irriverente ammetto inaspettata. In pratica l'incarnazione  del detto ‘scarpe grosse e cervello fino’. 
Racconta di sè. Volentieri e con un quid di civetteria. “Volevo scappare dal paese, mio padre faceva il carbonaio e a me di andare su in montagna tutti i giorni a fare fascine e cose cosi proprio non mi andava. A dodici anni avevo tre scelte: continuare a studiare, ma mio padre mi disse che le donne non devono mantenere i mariti e quindi non devono studiare. Andare al paese a lavorare, ma così diventi puttana, sentenziò papà. Insomma, alla fine, di nascosto mi sono messa d'accordo con le monache che mi hanno mandato a Roma a servizio. A 12 anni non sapevo fare niente. Non avevo mai visto la città. E nemmeno oggetti come il frigorifero. Allora i frigo avevano la chiave e io, per sbaglio, la lasciai dentro chiudendolo senza ritorno. La signora è dovuta andare al negozio... Chissà quanto ha speso. E poi. I pavimenti. A casa mia non si lavava con lo straccio e il detersivo. Stavamo in campagna, nemmeno il pavimento c'era. Quindi, io lavo con lo spazzolone e il marmo ancora bagnato appariva lucido è bello. Ma quando si è asciugato, certi segni ... La signora me lo ha fatto lavare tante volte, finché non ho imparato”. 
Angela mischia passato e presente, come le va. Racconta del marito, costretto da un certo punto in sedia a rotelle. “L'ho portato in giro per il mondo, in quel modo. Siamo stati anche in Grecia, anche alle meteore con la parrocchia. E lui, su e giù dal bus. Ci dicevamo: partiamo? E via, senza tante storie”. Sorride ancora al ricordo di questo uomo che deve avere molto amato. “Quanto era geloso, stava sempre con me”, si compiace ancora. E ricorda di aver rivoluzionato tutta la casa al tempo della malattia: curate le piaghe create dalla lunga degenza, riportato alla dignità e all'amore della famiglia, installato il montascale, riparato il senso di sè dell'uomo colpito. 
Una donna fatta di argento vivo, per usare una espressione dell'epoca. Adesso ha parecchi polli e un orto. Avevo anche i conigli, ma dopo che sono caduta dall'albero mio figlio mi ha detto che non potevo più allevare animali. Ma i polli li ho ricomprati lo stesso, zitta zitta. E per non farsi mancare niente, va ad aiutare una famiglia di romani che ha una seconda casa. Ma non le sono molto simpatici. Prima mi fanno fare i polli per loro e poi dicono che non mi conviene. Glieli faccio pagare dieci euro l'uno, puliti e spennati, e hanno anche da ridire. Tu i miei polli non li mangi più, pensavo mentre mi faceva quei discorsi. E poi. Lui è magistrato, lei lavora come dirigente in una grandissima azienda multinazionale e vengono a dire a me che hanno problemi economici e invece io con la mia “pensioncina” sono a posto, si indigna. Ma sempre tenendo un sorriso ironico tra le labbra. 
Guidare le piace assai. Ho preso la patente di nascosto, nel 1973, confessa. E una volta ho pure cappottato, in cima alla montagna. Ero con mio marito e mio figlio, io sono uscita subito dal finestrino, svelta svelta, a loro poi ci ho pensato dopo. Ma nessuno si è fatto male, ride. 
A conoscerci è arrivata con la promessa di portare “due fettuccine e un sughetto”  per pranzo. È finita che si è presentata con:
- fettuccine per sette porzioni (ci ho anche cenato con tre ospiti) e relativo barattolo gigante di sugo
- Prosciutto e melone
- Mezzo pollo arrosto con patate 
- Melanzane grigliate 
- Fagiolini bolliti 
- Sei uova delle sue galline 
- Insalata, pomodori, cetrioli, zucchine dell'orto
- Pane 
- Vino, acqua, aranciata e altre bevande che nemmeno le ho fatto tirare fuori 
- Un paio di chili di prugne dell'albero raccolte da lei
- Pesche. 
Non scherzo. 
E si è scusata: il dolce non c'è... 
Io e mamma non potevamo smettere di ridere. Davvero sembrava di essere a un pranzo di campagna degli anni '60. Per fortuna, però, non si è offesa se abbiamo mangiato ben poco. In compenso io ho caricato la macchina e ho cibo per tutta la settimana. 
Resta da vedere se mamma riuscirà a passare dalle porte dopo un mese di questo trattamento, moltiplicato per tre pasti al giorno... 

sabato 21 luglio 2018

Il carosello delle persiane




Interrompo la fortunata serie vacanziera per tornare sul doloroso capitolo 'Peripezie casalinghe'. Sono stati giorni duri. Durissimi, anzi. Da scappare di casa. Cosa che peraltro ho abbondantemente fatto, delegando con sventata fiducia a chiunque la custodia della casa. Finestre e persiane, però, sono finalmente cambiate. Io, poverissima. Non sono mancate traversie. A quanto pare, infatti, la mia casa è sbilenca. Deve aver assorbito nel tempo la mia personalità. D'altra parte, da un palazzetto primi '900 costruito su una discesa (o salita a seconda della prospettiva) non ci poteva aspettare l'equilibrio perfetto. Equilibrio sì, visto che sta in piedi, ma perfetto... Quindi, questi due ragazzi hanno dovuto sudare il fatto loro. Dicono. 
Per parte mia, l'esperienza mi ha aiutato a sviluppare ubiquità. Non potendo nè volendo prendere giorni di vacanza, ho passato queste giornate in scooter facendo la spola casa/lavoro almeno quattro volte. Anche per permettere ai “ragazzi” di andare a prendere il caffè. Che diamine, una pausa caffè di mezzoretta (dopo quella pranzo) è indispensabile... Io invece le mie pause le ho riempite, appunto, nei tragitti vari. A fine giornata avevo sempre raggiunto il traguardo dei diecimila passi, senza andare in palestra. 
Le persiane però sono bellissime e danno una luce nuova alle cose. Anche perché in alcune stanze non si potevano più chiudere per paura che esalassero l'ultimo respiro. Ora invece, tutt'altra vita. Ho dei dubbi ancora sulle finestre. Ma spero che sia solo perché ci dobbiamo ancora conoscere meglio. I trasportatori, che, attenzione, sono diversi dai monytatori di infissi, sono tipi esilaranti: un vecchietto sdentato (magari é più giovane di me,sebbene -giuro- non sembri) ma forzuto che dà ordini e due giovani, che lui apostrofa ironico: “sbrigati, che sei del Kosovo, che vuoi capire”. Ma è chiarissimo che scherza e la sintonia per lavorare in fluido c'è. Infatti, portano su e giù persiane e finestre lunghissime e pesantissime e smaltiscono con grande rapidità. A fine lavoro, zac, biglietto da visita: “noi facciamo tutto: ripuliamo, sgombriamo, trasportiamo”. Con il tocco di estrema modernità di chiamarmi “dottoressa” invece del classico “signora”. Ho notato che è in gran voga ultimamente. 


Poi arrivano gli specialisti in montaggio e smontaggio. Gentili, educati. Ma produttori di rumori sinistri che mi fanno rabbrividire. “Dottoressa, se le mani avessero paura come gli occhi e le orecchie, non si farebbe niente”, mi elargisce uno come perla di saggezza consolatoria. Meglio uscire. Meglio fare avanti e indietro mille volte che rimanere a casa per sentire gli urli delle finestre torturate. 
Anche le gatte hanno vissuto intensamente questi giorni di rinnovamento interno. D'interni. Non sono particolarmente sociali e dunque, specie all'inizio sono diventate invisibili e introvabili. Perfino l'infallibile richiamo del cibo stavolta è caduto nel vuoto. Dopodiché, Salomè è rimasta occultata nei suoi chissadove, mentre Margherita si é fatta avanti. Oltre a un paio di tentativi di evasione sul pianerottolo, si è resa responsabile del furto della galletta di riso (noto cibo del quale i gatti sono ghiotti...) di uno dei due operai. “Ho lasciato la mia galletta di riso un momento e non l'ho più trovata. Il mio collega non l'ha mangiata. Ma alla fine ho visto l'aveva presa il suo gatto...”, mi ha raccontato con un sorriso rassegnato. Inoltre, Margherita deve aver sottratto un paio di viti, con le quali ha (rumorosamente) giocato nella notte, in camera mia, finché non gliele ho sequestrate per ottenere un minimo di silenzio. 

N.B. Questo blog comincia a fare capricci tecnici. Dopo tanti anni, quindi, ho aperto il sito. Non è un trasloco vero e proprio, ma si comincia. 
Www.cosedeglialtrimondi.it 

martedì 17 luglio 2018

Inghilterra con il sole



Ci vuole un po' di tempo per elaborare un quadro d'insieme di un luogo. Così, scrivo ancora di Barbados, ma stavolta del suo carattere. Dice Peter che è una piccola Inghilterra con il sole sempre in servizio. Il che è vero al cento per cento. Oltre a far parte del Commonwealth, questa piccola isola è in effetti 'britannizzata'in profondità. Tutti parlano inglese come lingua madre e non mi sembra ne abbiano un'altra e di  alternativo in giro è rimasto ben poco. Certo, ci sono le palme, la sabbia bianca, gli animali dei tropici, ma anche questi elementi hanno assunto caratteristiche morbide. L'esotismo é stato accuratamente limato via. L'ho già detto in un altro post, ma lo ripeto: non c'è niente di pericoloso, né animali ne piante (a parte il temibile Marcinelle tree, che è però guardato a vista). Tengono tutti comportamenti assai ammodo, flora e fauna non sono sguaiate come possono esserlo talvolta a quelle latitudini. Qualche lumaca più grande del normale, una foglia dalle sfumature insolite, ma insomma, eccessi non se ne vedono. 
Anche nell'accoglienza del visitatore, a Barbados non si esagera. Non esistono i mangiatori di turisti,  quelli che ti assalgono e ti rapinano nei prezzi, quelli che per la globalizzazione ti spiattellano 'spaghetti bolognaise' o fettuccine Alfredo, incuranti del ridicolo gastronomico che propongono. Nessuno prova a venderti cianfrusaglie per strada o nei banchetti, nessuno propone il Colosseo come nuovo. 
Come si conviene agli inglesi doc, che si scottano e sono terrorizzati dagli effetti del sole, le spiagge sono deserte. Non si sa perché, ma nessuno le frequenta. Nemmeno quelli che la pelle ce l'hanno scura. Preferiscono il bordo piscina, anche se la spiaggia di sabbia bianca e finissima con pezzetti di corallo e pesci a iosa è a un metro. Questo resta un autentico mistero. In compenso, il mare è popolato da rumorosissime moto d'acqua, calabroni che sfrecciano velocissimi e, appena vedono anima viva sulla spiaggia, si precipitano a chiedere se vuoi fare un giro. Usano questi mezzi di locomozione come attrazione turistica, ma anche per andare da qui a lì, con gran fracasso. Se anche non si avvicinassero per proporre le loro gesta, non si potrebbe non normali per l'inquinamento acustico. Per fortuna non sono così numerosi. 


Molto british anche la gita per nuotare con pesci esotici e testuggini. Le barche sono modernissime e super attrezzate. Niente trascuratezza nelle misure di sicurezza o igiene traballante. Le attrezzature sono nuove e tutto è degno del publico inglese e americano che frequenta l'area. Il dettaglio è che dalle 10 di mattina, la ciurma comincia ad offrire cocktail e altri alcolici a ripetizione. Gratis. Cioè, compresi nel prezzo della giornata. E questo flusso ininterrotto di bevande a piacere risveglia la sete ancestrale anglosassone. Ho visto donne bere 20 punch al rum, seguiti o mescolati o preceduti in geometria variabile con lo stato di coscienza e il carattere dell'individuo, da vino, birra, whisky e ogni altra diavoleria. Gli uomini sono si fanno ovviamente lasciare indietro. 
Di certo non posso essere io a fare la morale astemia. E tuttavia, qui si esagera. E infatti, lo spettacolo a un paio di ore dalla partenza, era di parecchie persone barcollanti, alcune anche sostenute a braccia dai marinai. Altre hanno accusato un improbabile mal di mare per giustificare lo stomaco esausto. Beh, per fortuna non tutti si sono sfrenati così. E la gita è stata molto bella lo stesso. Emozionante nuotare tra le tartarughe marine e esser circondati da pesci tropicali fitti fitti, un sacco di specie, un tripudio di colori scintillanti in movimento. 


venerdì 6 luglio 2018

Alla ricerca del sapore caribbean



Non posso dire che la ristorazione di Barbados abbia una grande personalità. Generalmente parlando il cibo é di livello medio, piuttosto caro. D'altronde è uno dei difetti delle isole, costrette a importare a tutto spiano. Però qualche esperienza interessante l'abbiamo fatta. 
A cominciare da The Tides (Le maree), riconosciuto come il miglior ristorante di Barbados. E, in effetti, grande cibo, presentazione estroversa, servizio sollecito. E la vista sul mare, a pochi metri. 
Qui ho mangiato un pollo al curry con latte di cocco, servito direttamente nella noce di cocco, mentre Flaminia ha ordinato un risotto ai frutti mare, interpretato alla caraibica,  molto distante dalla ricetta italiana, ma decisamente geniale. 


A parte questo guizzo di estro creativo alta cucina, a Barbados prevale il pesce, invariabilmente in tre scelte: fritto, grilled oppure in black, che significa con una specie di condimento di spezie e pepe. I pesci sono atlantici hammack, flying fish, delfino, barracuda, tonno. Il delfino io però non lo prendo in considerazione, mi parrebbe di mangiare un cane. Sul barracuda sono possibilista, ma purtroppo, non è stagione, pare. Anche sul lato contorni la fantasia non vola: riso, patate fritte o vegetali bolliti. Sempre che non si decida di assaggiare una specie di pasticcio di pasta (scotta senza nemmeno precisarlo) grondante salsa che, a quanto sembra, è uno dei piatti nazionali. 
Alternativa valida delle polpette fritte di pesce. Più rara ma assai ambita la coda di maiale, che si presenta intera, piatta e non arricciolata come nei cartoni animati, dal colore e la consistenza della porchetta. Meglio, invece, le breadfruit chips, sfoglie sottili e croccanti del frutto del pane, talvolta servito invece a pezzi grossi, cotti al forno. Risultano farinosi parecchio. 




Dei dolci non saprei dire. Frutta (e verdura) si comprano ai chioschetti ai lati della strada, mentre i supermercati sono di stampo decisamente americano: enormi, freddissimi, pieni zeppi di prodotti di ogni genere provenienti da ogni dove, come si conviene alla perfetta globalizzazione.

A casa di Peter



La casa di Peter non è propriamente una casa, ma una piantagione. Anzi, una delle tre piantagioni più antiche di Barbados. L'edificio principale risale al '700. Oggi è su Airbnb e non si dà per niente arie. Comunque, problemi di spazio, come è ovvio, non ce ne sono. Per un certo periodo é stata anche uno zoo, ma da parecchio le gabbie sono scomparse e gli animali che vivono qui lo fanno in beata libertà. A partire dai sette cani, cinque esuberanti border collie e due meticci, Smokey e Wag, tutti sempre in giro per la proprietà senza disdegnare un bagno in piscina quando se ne presenta l'occasione. Questi cani sono amichevoli e estroversi. Ai rientri si affollano intorno con il loro benvenuto, scortano alle uscite  tanto da rischiare ogni volta di finire sotto le ruote. Abituati agli ospiti e amanti delle carezze, non conoscono diffidenza e offrono ottima compagnia in giro per la piantagione, sempre  felici di condividere una passeggiata, il divano o l'amaca (da sotto, però), un pezzetto di cibo. 




Il corpo centrale è la casa di Peter vera e propria, enorme e anticonformista, ne riflette l'amore per il bello non convenzionale e la capacità di cogliere negli oggetti anime profonde. Con questo spirito la tenuta è cresciuta: le antiche strutture affiorano ovunque, intrecciandosi con la natura e con le successive discretissime costruzioni in legno dove soggiornano gli ospiti di Peter. Come noi. Il primo colpo d'occhio comunica semplicità perfino esasperata e una certa, allarmante, trasandatezza. Poi, a guardare meglio, appare la cura per i dettagli, il rispetto dello spirito del posto, la personalizzazione armoniosa. Capire o non capire, è nell'ospite. E, penso, Peter volutamente non doti i suoi appartamenti di tecnologie e amenities esagerate per una non dichiarata selezione preventiva del viaggiatore. Quindi, il Wi-Fi c'è ma non ovunque, la piscina è piccola e raccolta tra fiori e colibrì, i letti sono spartani (sebbene comodi). Tutto è lineare. Peter deve avere una passione per gli specchi perché ce ne sono ovunque, tutti vecchiotti e di cultura. Non per niente lui è un interior designer. Il suo laboratorio è in una zona della piantagione che la mattina si popola di uomini e donne del luogo che lavorano per costruire i mobili che disegna.




Lui, Peter, un inglese trasferitosi in Barbados una ventina di anni fa, è di una gentilezza calma ed essenziale, ma avvolgente. Dopo una settimana, posso dire che la sua accoglienza è davvero eccezionale. Si preoccupa dei dettagli. Un cesto di frutta esotica nella nostra dependance all'arrivo, l'invito a cena, una bottiglia di vino bianco raffreddata in tutta fretta per me, sebbene lui preferisca il rosso. Una mattina, pancakes caldi con miele e caffè fresco lasciati davanti alla porta e trattenuti con un fiore. Un'altra i giornali locali sul tavolo. La marcia in più sta nel farti sentire amico e non ospite. 
E così, eccolo organizzare per noi un barbecue notturno sulla spiaggia, facendo la spesa e caricandosi di ogni necessità. Oppure accompagnarci al Festival del pesce a Oistins, contento di farci da guida e offrici una birra. E davanti a un bicchiere, la conversazione scivola sul personale. Una vita senza alcuna tirchieria quella di Peter. Dalla scelta coraggiosa di lasciare l'Inghilterra, il trasloco della famiglia. I ragazzi da portare ogni mattina a scuola dall'altra parte dell'isola, il lavoro da reinventare, la casa, la barca a vela, la musica. E poi, il divorzio, il dolore del lutto peggiore e l'altro figlio ormai adulto lontano nel Borneo. Il coraggio scavare nel buio per ritrovare la luce della serenità. La curiosità empatica dell'ascolto. 
E poi, da host consumato, il numero giusto per l'affitto della macchina o la gita in barca. 
Se volessi disegnare l'Airbnb ideale, farei come lui. 



giovedì 5 luglio 2018

Un giorno a Gatwick



Passare l'intera giornata all'aeroporto di Gatwick. Una bella esperienza non c'è che dire. Va bene che era in preventivo (e lo temevo), ma poi trascorrere ogni singolo minuto dalle 7 del mattino alle 3 del pomeriggio è una esperienza piuttosto noiosa. Per così dire. Soprattutto dopo una notte di volo senza chiudere occhio. In pratica ho saltato completamente una notte di sonno. Ci vuole una bella scorta di pazienza e di ironia. Scesa dall'aereo, ho subito salutato Flaminia. Lei verso il controllo passaporti, io da terminal North a terminal South in un percorso solitario e spettrale, lunghi corridoi vuoti, scale mobili deserte, un bus tutto per me. Il mio obiettivo era evitare che mi sequestrassero la miserabile bottiglia di rum comprata a Barbados, altrimenti sarei uscita con Flaminia e rientrata più tardi. Tutto inutile: sono incappata in una rigida e irragionevole guardiana della sicurezza dei cieli che ha trovato pericolosissima la mia bottiglia e me l'ha sequestrata. Avrei potuto ucciderla a mani nude, ma non l'ho fatto. Le ho solo augurato (a mezza bocca per via di mia figlia) una giornata orribile. 



In queste condizioni anche una bionica come me viene irretita da uno straniamento totale, quasi una esperienza extra corporale. Sicuramente surreale. Mi sono incantata, o meglio imbambolata. A guardare l'umanità scorrere in ogni direzione. Effetto formicaio colorato. Il tabellone allunga la sua lista. Si passa dalle ore piccole a quelle a due cifre finalmente, si sente l'odore della partenza, del movimento verso la meta. Intanto però è tutto fermo. Il tempo scorre impercettibile, scandito dalle tacche del telefono che respira con sempre maggiore difficoltà. Ore lunghe. Fanno parte del bagaglio del viaggiatore. Guardo le destinazioni. Mi viene voglia di scrollarmi di dosso me stessa e partire di nuovo, alla ventura. Letteralmente, il primo aereo disponibile. 
Quindi è chiaro che gli umori si alternano in ogni sfumatura. 
Ho anche trovato un bagaglio unattended e, poiché avevo tempo da spendere a bizzeffe, l'ho segnalato alla prima persona con identificativo al collo che ho visto. Poveretta. Da quel momento non si è più potuta allontanare dallo sfigatissimo zainetto verde acido marchiato (diciamolo: marchiato)  Gatorade. Allertare il servizio di sicurezza e vederlo arrivare ha richiesto quasi un'ora... Alla faccia dell'efficienza... Lei era rassegnata. Io, basita. Sono rimasta apposta nei dintorni per vedere la qualità della reazione. 
Comunque, dai e dai, i minuti si assottigliano, una birra, un negozio ancora. Sul tabellone appare il mio volo. È già un passo avanti. Salirà nella scala anche lui per conquistare la prima posizione. Il sollievo di vedere che l'orrendo volo vueling é in cosharing con British Airways. A game finalmente over, il mio fedele fitbit mi informa che ho fatto quasi settemila passi in aeroporto da stamattina. A me, Terminal mi fa un baffo. 


martedì 3 luglio 2018

Barbados alla guida



Per meglio esplorare l'isola in libertà, Flaminia ed io abbiamo noleggiato una macchina. E poiché a Barbados si guida a sinistra, l'onere del volante é toccato a lei. Dopo averla tanto scarrozzata, finalmente le parti si sono invertite. Compresi i cazziatoni che spettano a tutti i navigatori. Io, poi, nemmeno ci sono tagliata...
In ogni caso, a prescindere da chi avesse il piede sull'acceleratore, può essere interessante una piccola analisi degli usi e dei costumi locali su strada. 
Premessa indispensabile: l'approccio è quello inglese. Nonostante le macchine siano per lo più vecchie e scassate! con pezzi mancanti che avrei detto invece indispensabili per circolare. Tutti sono però gentilissimi, pronti a cedere il passo o a lasciare la precedenza a chiunque, anche lontanissimo. A parte che lo scambio di cortesie può essere interminabile, ciascun gesto viene sottolineato con un colpetto di clacson. Sempre molto discreto, mai prolungato, esso può significare 'prego, passa tu' (in questo caso accompagnato dal gesto della mano equivalente, imprescindibile) oppure 'grazie', o anche 'attento, ti sto superando'. Suonare, brevemente, é la base del galateo stradale. Si discostano dalla norma i bus arancioni, di vario grado di usura, sempre lanciati a velocità folle come se fossero in perenne ritardo. Va da sè che le fermate si effettuano rigorosamente in mezzo alla carreggiata, obbligando le altre vetture ad attendere il sali-scendi. Gli autisti di questi numerosissimi mezzi pubblici hanno un clacson bitonale, che strombazzano a tutta callara, in ogni occasione. Serve ad annunciare l'arrivo alle fermate e la partenza da esse, avverte viaggiatori e altri veicoli dell'imminente superamento, segnala una curva, una fermata per lasciar passare un pedone. Ecco, i pedoni vengono rispettati oltre ogni dire. A loro la precedenza sempre, anche se attraversano in autostrada. 


Comportamento in Barbados del tutto legittimo, poiché le autostrade non hanno barriere di ingresso e nemmeno guard rail. E, se vogliamo dirla tutta, spesso sono normalissime strade a una corsia punteggiate di venditori di frutta, interrotte da strisce pedonali, costellate da semafori e vie laterali. Normalissimo dunque vedere macchine posteggiate sul ciglio (metà ruote in mezzo alla carreggiata) per una sosta in uno di questi autogrill 'di prima generazione'. Punti nodali di questo traffico sono le rotatorie, in pratica unico punto di riferimento per dirigersi ogni dove. A parte alcuni tratti sconnessi anche in autostrada, il resto della viabilità sembra gestito dalla Raggi. Buche, fossi, avvallamenti sono sempre in agguato così come salite ripidissime e discese ardite. Si va un po' di crossing, tanto per tenere alta l'attenzione. 


Tra le peculiarità di questa isola, infine, c'è anche quella di omettere la segnaletica stradale. E, ove presente, si discosta immancabilmente da quanto scritto sulle mappe fornite dall'auto noleggio. Un incubo accentuato dal fatto di non avere gps né altra strumentazione moderna. Così, dopo parecchi giri di Peppe, abbiamo decretato che l'unica possibilità è contare le roundabout.  Altro escamotage per arrivare da qualche parte, possibilmente quella desiderata, é affidarsi alle chiese. Quelle sì che sono segnate devotamente e ce ne sono a bizzeffe, di ogni possibile culto cristiano. E non... Come dimostra questa pubblicità voodoo, nella quale ci siamo imbattuti una delle volte in cui abbiamo sbagliato strada.


 

lunedì 2 luglio 2018

Fiori, piante e altri abitanti naturali di Barbados

Il 

Non c'è niente di pericoloso in Barbados. A parte Marcinelle tree, flora e fauna sono amichevoli e i loro rappresentanti locali privi di ostilità. Quindi, niente scorpioni, ragni velenosi, serpenti traditori. Tutto gentile con l'esuberanza tropicale. Per esempio, le lumache qui sono lunghe almeno dieci centimetri e velocissime. E le lucertole, di una specie autoctona, verdissime e curiose. Le finestre si lasciano sempre aperte, i visitatori più fastidiosi sono i mosquitos, quelli sì parecchio alacri nel disturbare, e le formichine mignon, in formato direttamente proporzionale al prurito che sono capaci di regalare. 
Sulle spiagge, formicolano i granchi. Timidi come ovunque, pronti a rientrare nelle loro basi di sabbia fonda al primo movimento, non disdegnano di venire a curiosare intorno se non si sentono osservati. E quando vengono beccati ti guardano un po' in cagnesco, indignati. 



Non parlerò degli uccelli, i loro canti miscelati fanno da sottofondo alle giornate. Le tortore tubano come in tutto il mondo, non la smettono un momento, ma in sinfonia con altri mille cinguettii sorridenti. I fruscii improvvisi tra il fogliame, un chiocciare brusco qui, un movimento d'ala lì, poi, fanno immaginare una vita segreta di pennuti e chissà quali altri invisibili animali. Si percepisce senza cogliere. 
E veniamo alla botanica. Per così dire, visto che non ne capisco niente. Sicuramente c'è il profumo dei caprifogli che ammanta la casa di Peter. Sarà uno degli odori che per sempre assocerò a Barbados. Come è ovvio i tropici sono i tropici e questo significa una matassa di fiori declinata in sculture e miscellanee sempre diverse, con vari frutti più o meno sconosciuti che si appendono qua e là. Ci sono ibiscus di dimensioni gigantesche. Senza arrivare allo spettacolo pirotecnico di Hunte's Gardens, anche il resto dell'isola non se la cava male. Le orchidee, soprattutto, fanno benissimo. La loro specialità è abbracciare gli alberi e vestirne i tronchi. Lavoro che svolgono con il massimo impegno. 


Marcinelle tree, invece, non è così affettuoso. Anzi, è considerato l'albero più pericoloso del mondo, visto che sia rami che foglie e frutti rilasciano un latte urticante che, se a contatto con gli occhi, può causare addirittura a cecità. Qui che ne sono a bizzeffe, ma quelli sulla spiaggia sono contornati di warning, così non ci si può sbagliare e basta starne lontani per evitare ogni effetto decisamente indesiderato. Diciamo che è l'unica spina in una natura pacifica e bonacciona. 



domenica 1 luglio 2018

Hunte's Gardens, sperimentare il paradiso



Abbiamo trovato gli Hunte's Gardens per caso. Girellando per l'isola, dirette sulla east coast, in mezzo alle montagne ecco le indicazioni per questo posto. Ora, noi siamo prive di gps, Wi-Fi e ogni altra facilitazione moderna all'orientamento, quindi ogni scelta è molto legata a istinto e umore del momento.m
In ogni caso, questo posto ci ha ispirato e siamo andate a visitarlo. Si tratta, in effetti, di un imperdibile pezzetto di paradiso, ricostruito da tal Anthony Hunte in una grande conca naturale creata dal crollo di una grotta. Anthony si occupa personalmente della sua creatura, insieme  a cinque aiutanti, e ha aperto al pubblico più o meno dieci anni fa, dopo due anni di lavoro. C'è da considerare che al tropico la natura lavora svelta svelta è quello che alle nostre latitudini ci mette cinque anni a crescere, qui ne basta uno per ottenere rigoglio allo stato puro.



A voler essere pedanti, ci sono 83 specie di piante declinate in ogni versione. La maggior parte è sempre in fiore. 
La visita in realtà è una splendida passeggiata, un relax senza tempo, accentuato dalla musica new age diffusa a basso ma distinto volume. I vialetti sono di pietre lievemente scolpite con le venature delle foglie. Ogni qua e là ci sono gruppetti di poltroncine dove godersi gli squarci di vegetazione e magari scattare qualche foto. Le palme svettano dritte e snelle a cordone gentile del paradiso. Si scende verso il fondo tra piante acquatiche ed esotiche alle quali so dare nome solo a pochissime: anturium, ibiscus, palme, begonie, vari ficus, ma tutti in versione gigante, brillante, squillante, ridondante. 
Risalendo il catino, sull'altro bordo c'è una casa antica, arredata meravigliosamente, che era la casa dei proprietari della piantagione circostante e, un po' diroccata, mostra il fascino  dei suoi cento anni. 


Serata caribbean



Ogni venerdì, a Oistins, pesce. Beh, dov'è la novità? La novità é che qui il menù si trasforma in occasione di una gigantesca festa sulla spiaggia, con grandi barbecue e, ovviamente, birra a fiumi. Sulla costa sud di Barbados, Oistins in realtà vive di pesce. La mattina c'è il mercato, contornato di piccoli chioschi dipinti di pastello che vendono piatti pronti, tutti simili, ciascuno però personalizzato dal gusto dello chef (per così dire). Ci siamo state un giorno qualsiasi della settimana, ma era quasi tutto chiuso. Qualche ritardatario locale rifornito di pesce dagli ultimi chioschi aperti. Per noi, il tempo di ordinare un take away. 
Il venerdì sera, invece, la musica cambia. Nel vero senso della parola. Ogni spazio è animato. Ci sono turisti, ma davvero una minoranza. Anche le immancabili bancarelle che ornano le feste di paese di tutto il mondo, sono pochissime e parecchio basiche. 



Il fulcro è il pesce. I ristoranti hanno tutti un gigantesco fuoco dove cucinano infaticabili cuochi e lunghi tavoli di legno con le panche. Un po' sagra, se vogliamo. Sul menù si allineano red snapper, barracuda (in stagione, si precisa) delfino (no, grazie) flying fish (parenti delle alici, direi). Oltre a contorni vari, comprese le breadfruit chips (una specie di patatine fritte ma tagliate dal frutto del pane, squisite) e un non identificato pasticcio di 'macaroni' affogati in salsa bianca, che ai barjan -inopinatamente- piace un sacco. Il pesce è superbo e infatti, prima di ricordarmi di fotografarlo, ne avevo divorato già la metà. 
A lato della gastronomia, e decisamente più rumorosi, ci sono i giocatori di domino e/o di carte. In prevalenza uomini abbastanza anziani, si scatenano con grandi botte sul tavolo e grida appassionate. Parecchi hanno look disinibiti, capelli bianchi rasta oppure divisi in lunghissime freccine, copricapi a cesto rovesciato in alternativa a berretti -apparentemente, mi auguro per loro- di lana. 


E, ovvio, la musica che ritma mascelle, mani, giochi, acquisti, conversazioni. Ci sono gruppi live e ballerini di ogni età, coppie incredibilmente estreme. In una atmosfera spensierata ed esuberante. Birra e relative pubblicità ovunque, semmai ce ne fosse bisogno. Il Caribe, insomma. Ma depurato di quel lato oscuro, vagamente inquietante ma affascinante, che ha in Costa Rica. A Barbados gli eccessi non sono contemplati. 


venerdì 29 giugno 2018

Le notti nella giungla




Il primo risveglio nella giungla. Tutte le giungle sono uguali? Assolutamente no! Anzi, sono molto diverse. Ricordo l'africana del Togo con i galli incessanti a cantare dando sulla voce alle persone già incamminate per il lavoro in piena notte. In Madagascar il muezzin tuonava minaccioso fin dalle tre del mattino, riscuotendo timori. In Costa Rica le scimmie non la smettevano mai di socializzare, discutendo con rane e uccelli notturni in un perenne rincorrersi di pettegolezzi da foresta. Qui no, a Barbados qla foresta dorme. Respira calma. È il vento che scorrazza tra le foglie, su e giù per tutta la notte. Animali non se ne sentono, salvo il rapido abbaiare di uno dei sette cani di Peter. 
Con il crescere delle ore, invece, gli animali subentrano e intrecciano i loro racconti alle fronde. Talvolta appaiono anche i colibrì, tra le immancabili tortore e altri uccelli più grandiL per me non identificabili. Ci sono i frogtree, mai sentito,parlarne finora, dalle vocine fine. Bisbigli. Qualche squittio si unisce alla sinfonia. Il vento dirige. Notte e giorno. 

giovedì 21 giugno 2018

Il barattolo della felicità



Questo vaso è uno dei doni più belli che io abbia mai ricevuto. Me lo ha regalato Flaminia (ma va?) a natale del 2016 e contiene 365 pensieri, massime, perle di saggezza, consigli sulla felicità. Declinata in tutte le sue forme. Come esserlo. Come capire che lo sei. Come rialzarti quando sei caduto. Non penso ci possa essere più amore non a sangue caldo di quello che emana questo barattolo. Quando lo guardo, penso a Flaminia che passa lunghe ore a cercare le frasi giuste, a stamparle e a ritagliare ciascuna di esse. La immagino mentre fa questo per me e già lì il cuore si riempie e anche la giornata più buia si rischiara. E poi, anche il disegno pieno di colori che ha creato e colorato. Questo tempo speso pensando a me mi commuove.


I primi mesi che l'ho avuto, ogni mattina appena sveglia aprivo un bigliettino. Poi però ho cominciato a centellinarli. In fondo, non proprio tutti i giorni avevo bisogno di sostegno extra e ho pensato di far durare il più possibile questo scrigno di amore perfetto. Anche come una specie di censimento dei giorni buoni e di quelli cattivi. Posso essere soddisfatta, negli ultimi due anni non ho avuto tanto bisogno di pescare puntelli. Anzi, certe volte mi basta guardarlo, il mio barattolo magico, per sentirmi felice. Per quello che è e per quello che significa. E pazienza pure se il buonismo non va di moda. 


giovedì 7 giugno 2018

I giardini del Quirinale



Reputo ogni volta un vero privilegio essere invitata al Quirinale, per il ricevimento del 2 giugno. Che si svolge il primo, perché poi il due ci sono troppi appuntamenti per un giorno solo e per un uomo solo. Quest'anno, la festa ha avuto un sapore particolare. C'era un'atmosfera sottintesa tutta diversa. Si sentiva ancora nell'aria l'odore della polvere da sparo, il sangue versato, l'adrenalina delle settimane appena trascorse. Niente di visibile, per carità, tutte ferite anestetizzate dagli abiti da cerimonia. O, di certo, per qualcuno solo ricoperte di grisaglia. Tanto di donne se ne sono viste pochine comunque, quindi parlare di grisaglie va tristemente a pennello. 
Vincitori e vinti si aggiravano per i giardini del Quirinale, attenti a mescolarsi il meno possibile. Ma così, come per caso. Nel sapiente -e studiatissimo- gioco del “ti avrei salutato se ti avessi visto, ma purtroppo non ci siamo incrociati”. 
La differenza l'ha fatta il Presidente della Repubblica. Mai come nei lunghi giorni appena trascorsi, impegnato a dipanare  una matassa non solo ingarbugliata, ma anche piena di spine e tranelli anomali. Una crisi costellata di prime volte e dunque di prime decisioni. Comportamenti e linguaggi espressione di nuovo. Nel migliore dei casi.


Senza entrare nel merito della contesa, Sergio Mattarella si è trovato ad affrontare una situazione nella quale era il solo ad usare regole e galateo. E ad avere a cuore il bene del Paese, difendendolo da sgomitanti masanielli. Momenti nei quali il rispetto delle istituzioni in quanto tale è andato a farsi benedire e le parole volate sono state proprio grosse, con divagazioni violentemente personali e assai “fuori dal comune”. 
Chissà, forse anche per questo sono stati moltissimi quelli che si sono messi in fila per stringergli la mano. Questa coda si forma ogni anno, per salutare il padrone di casa, affiancato dalla figlia. Un rito che dura un'ora o giù di lì. Poi, di solito, il cerimoniale scioglie le righe e i ritardatari se ne fanno educatamente una ragione. Quest'anno non è andata così. Quest'anno il Presidente ha affrontato anche questa maratona fino alla fine. Ben oltre le due ore é rimasto in piedi, stringendo mani, una parola personale per tutti, il suo mezzo sorriso affilato e ironico. Un ulteriore impegno a conclusione di settimane tumultuose. Ma -è possibile solo immaginare- forse anche la soddisfazione di veder riconosciuto un buon lavoro, quello di aver riportato, per quanto possibile, il Paese in equilibrio, assorbendo anche su di sè personalmente le tensioni generali e  difendendo i cittadini. Non saranno stati facili certi bivi. L'intelligenza, ahimè, si contorna di dubbi. Chissà quanti ne ha avuti lui. Ma anche queste sono cose che non è dato sapere. 


Tornando alla serata, c'è da registrare la fila di chi ha invece voluto salutare il neo presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Corteo breve, ma lento assai. Anche perché il nuovo venuto, non ancora avvezzo alla liturgia, si intratteneva con ciascuno molto più del sufficiente. In effetti, l'euforia scorreva a fiumi. Ma come non essere comprensivi, dopo la mirabolante parabola dei giorni appena vissuti? La vita vera da presidente del Consiglio è tutta da costruire. 




lunedì 4 giugno 2018

Le gioie di Valeria



Le mostre di Valeria sono un must ricorrente. Anno dopo anno, ha creato i suoi appuntamenti, uno natalizio e uno di primavera, più altri sparpagliati a sorpresa, scegliendo con cura le location e trasformando l'esposizione dei suoi gioielli in una occasione per visitare belle terrazze o angoli fascinosi di Roma, fornendo anche una possibilità di ritrovare amiche e difficili da frequentare o perse di vista. 
Valeria, con sua sorella Pamela e la cognata Alessandra, hanno cesellato la loro attività con tanto di quell'entusiasmo che tutti i loro  lavori trasmettono vitalità e ottimismo. Così le gioie sono cresciute con loro -con tutte noi che le seguiamo da anni, direi- le collane si sono inanellate agli orecchini, gli anelli hanno agganciato pendenti e tutto insieme evolvendo di stile e maturità. Ma se ti metti una cosa qualunque disegnata e realizzata dalle ragazze, te ne chiederanno  di certo la provenienza. 


Sono tre donne che ce l'hanno fatta, senza rose e fiori a tappezzare il loro cammino, ma hanno superato le fatiche della vita, e semmai anche della convivenza, immagino, mantenendo grinta e coraggio nel lavoro trattato come un altro figlio da crescere. Che infatti é cresciuto. 
Una passione per l'oro e compagnia bella che ormai si può certificare genetica. Il papà di Valeria e Pam imbarcò su un bastimento diretto in Australia la sua arte e la famiglia. E dopo un po' di decenni sono tornati tutti qui. Le Arriga sisters nel laboratorio, il fratello Max a mietere avventura e successi in tutti il mondo. Così come Gabriele, amico di Flaminia mia figlia da quando erano minuscoli treenni. Anche lui con il pallino degli ornamenti, mescolato alla curiosità per l'alchimia, una combinazione che lo sta portando con successo e soddisfazione a sperimentare e allargare lo sguardo per parecchi altrove. 
Quest'anno la mostra estiva di Arriga gioielli si è piazzata in via in Selci, in un palazzetto strappato al convento di clausura accanto e ristrutturato lasciando intatti storia e fascino. 


Le gioie si sono appropriate della casa, mostrando le inedite potenzialità degli oggetti e gettando un tocco di luce scanzonata qua e la. Tutte siamo state incorniciate da una grande polaroid per le foto ricordo. 
Come al solito, aspettiamo la prossima idea, divulgata per certo,Mquando sarà il momento, con l'ironia leggera e precisa che è il marchio di fabbrica di donne e gioielli Arriga.