Non c'è viaggio senza sòla. Intesa come fregatura. Una almeno se ne prende sempre. E, se contenuta, va accettata con filosofia. Così è capitato a noi a Pechino.
Con grande disdoro, devo ammettere che siamo cadute in una trappola per turisti. Anzi due. Doveva essere il karma della giornata.
Uscite dalla Città proibita abbiamo deciso di mangiare un boccone. Siamo entrate in un ristorante non proprio appiccicato all'uscita perché -furbe- volevamo evitare posti troppo 'contaminati'. Il locale era pieno, tanto che ci hanno fatto salire al secondo piano. Ottimo segno, no? No. Nella sala semi deserta, spicca una donna un po' anziana che dorme a un tavolo. Fa anche freddino. Però, vabbè, decidiamo di ignorare i segnali infausti e raffazzoniamo un ordine, indicando su un menù fotografico. Ma, sia un cuoco malato o licenziato, sia che ci trovassimo di fronte a qualche mago del Photoshop, la realtà si è presentata nella sua luce più cruda. Assai diverso il cibo dalla sua rappresentazione. Arrivano due sbobbe inaccettabili. Spaghetti di riso grandi come tubi, mollicci, totalmente sconditi. A parte, ciotoline con salse direi provocatorie nella loro palese non commestibilita. Proviamo a farcene una ragione, ma no, non può funzionare. Così lasciamo tutto, pagandolo ovviamente, e andiamo via. Ci era anche passata la fame. Una situazione perfetta per dimagrire involontariamente.
Frustrate nello stomaco, era d'obbligo un divertimento. Così, invece di sgambettare per i cinque-sei kilometri fino alle Due torri, decidiamo di provare l'ebbrezza del rickshaw. Tanto, almeno una volta andava preso comunque. Ci si avvicina un vecchietto in gamba che si propone con il suo trabiccolo di velluto rosso.
Prima di salire chiediamo il prezzo, lui fa il segno tre con le dita. Pensiamo, saranno 30 yuan, più che ragionevole. Così saliamo e il simpatico omino vestito come Mao si mette ai pedali. Abbondamentemente aiutato da un motorino elettrico, ci porta per una decina di minuti. Si gira ogni poco per mimare la sovrabbondante fatica. Una pantomima a metà tra Paperino e Stanlio&Ollio. Insomma, 'non' sfrecciamo alla meta tra vicoli e vicoletti, evitando con accuratezza le strade principali. Bene, queste stradine altrimenti non le avremmo viste mai, penso tra me. Il sosia di Mao si ferma in un angolo appartato, le torri non si avvistano. Scende e ci fa segno che sono proprio dietro l'angolo. Vorrei fargli una foto con Flaminia, ma rifiuta deciso. Vado per pagare e scopro che il suo prezzo era non 30 ma 300 yuan. Più o meno come sei notti di hotel. Un pasto medio costa 40. Per dire. Mi inferocisco. Lui sfodera un cartoncino stampato (da lui medesimo) con i prezzi fissati (sempre da lui) per dimostrarmi di avere ragione. Il tempo di mettere insieme i dettagli, la viuzza laterale, il no alla foto, il gesto 'tre' ora chiaramente ambiguo, il biglietto con il tariffario arbitrario e io minaccio la polizia. Lui questiona, io resto ferma sulle gambe e io gli do 100 yuan (sempre troppissimi). Vorrebbe di più, ripeto di andare subito insieme alla polizia. Si dilegua, lasciando dietro di sé sbuffi di delusione e stupore. L'unico che abbia tentato - e in parte c'è anche riuscito- di truffarci.
Solo la sera, in hotel, abbiamo letto un cartello nel quale si metteva in guardia proprio da questi rickshaw acchiappa allocchi. Too late...
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