Una delle famose mondanità capalbiese, stasera, alla Ferriera dei Pietromarchi, all'antico confine tra la Toscana e Stato pontificio, con Giorgio Napolitano e i ministri degli Esteri italiano Paolo Gentiloni e tedesco Frank-Walter Steinmeier. Tra molte cortesie e altrettanti ossequi, una cosa mi è sembrata chiara: l'Europa a due velocità é anche a due passi da ora. L'incontro di Ventotene non è stato solo simbolico, ma una specie di prova generale, quasi a vedere l'effetto che fa. Il coro é intonato: non possiamo lasciare che Brexit ci condizioni. Lo dice chiaro un Napolitano in gran forma (non è il mio preferito negli ultimi anni, però, davvero, chapeau a piglio, cultura e lucidità politica): “Non possiamo restare fermi dopo il leave britannico, e non possiamo nemmeno rimanere per molto nello stato di sospensione. Anzi, non esagererei troppo in delicatezze nei confronti di una classe dirigente britannica che non ha nemmeno il coraggio di assumersi le sue responsabilità e cincischia con il Trattato. Diciamocelo, quella decisione è stata una sconfitta dell'europeismo, ma dobbiamo saper risorgere dalle nostre sconfitte, senza cedere al rancore, ma analizzando quello che è successo oltre l'iniziativa di un gruppo di irresponsabili leader o pseudo tali. Minacce e sfide non aspettano, sicurezza e crescita hanno urgenze e bisogna portare avanti decisioni già prese, non possiamo mettere tutto nel congelatore aspettando il primo ministro britannico”. Sferzante e perfino sprezzante, il nostro ex Capo dello Stato, con la lontana Albione (perfida, in effetti, suona un po' eccessivo, quasi caricaturale, oggi come oggi).
Steinmeier ha fatto un intervento in un misto tra (buon) italiano e tedesco (tradotto in cuffia), a dimostrare che ci conosce e ci vuole perfino bene. Non come quell'antipatico di Schäuble, sempre lì a farci le bucce con i conti di qua e le regole di là. Stenmeier invece ha scelto le affabilità e le sintonie. E rincara: non facciamoci distogliere dallo spirito di Ventotene. E qui giù a ricordare tutti gli europeisti italiani e tedeschi e le belle tele tessute insieme. “Intolleranze e populismo hanno la meglio oggi in molti paesi e io che spesso sono a colloquio con i ministri dei paesi più a est spesso fatico a non perdere di vista lo straordinario che c'è nel nostro progetto comune europeo. Le idee di Ventotene hanno influenzato generazioni di europei e sono quasi diventate realtà, mentre oggi sono quasi messe in discussione. È facile inveire contro il capro espiatorio Bruxelles, ma mettiamoci bene in testa che problemi come clima, immigrazione, sicurezza non potranno essere risolti da soli dai paesi europei che però, invece di mettersi a lavorare perdono tempo senza trovare soluzioni. Ricordiamoci che tutto sta nelle nostre mani. E che il processo di intergrazione europea non è mai andato da se, siamo noi a decidere e a farlo andare avanti”. E quindi? E quindi il concetto é chiaro: “Ora dobbiamo accettare le differenti visioni di Europa e solo dimostrando che l'Europa fa ciò che promette, potremo (ri)conquistare fiducia. Anche i tedeschi devono interrogarsi se hanno fatto bene in passato. Ma Germania e Italia insieme potranno fare da precursori in molti campi”. Eccoci di nuovo qui al “gruppo di testa”, dunque. Per concludere Steinmeier torna all'italiano e augura un bel “Forza e coraggio” all'Europa.
A Gentiloni non pare vero di sottolineare quanto vada d'accordo con “Franz”. Tra parentesi: che ci sia una direttiva di questo governo, di chiamare per nome gli omologhi di altri paesi, manco fossero i migliori amici. Il primo è Renzi, sempre lì a parlare con (e di) “Angela”, “Francois” “Barak”. “Chi crede nella UE deve saper osare e rischiare, dobbiamo riuscire a tenere insieme due elementi: non strappare il tessuto delicato dell'Unione e costruire tra i paesi disponibili livelli più avanzati di integrazione, traducendo questa maggiore sintonia in risposte concrete sui temi che interessano sul serio i cittadini: sicurezza, immigrazione, economia. Dietro a queste politiche c'è per forza il disegno di una integrazione maggiore e più flessibili tra i paesi disponibili. Non possiamo farci fermare dall'ultimo della fila o si ferma l'Europa intera”. Più chiaro di così! Non so dove andremo a finire, ma devo dire che l'Europa a 28 (o 27) non mi ha mai convinto per tante ragioni allora confuse per me e adesso molto evidenti a tutti. Perciò, non mi dispiace l'idea non di un gruppo di “capetti”, ma di paesi più fortemente europeisti che scelgano la maggiore integrazione, il ragionamento comune, il dialogo politico e concreto non mi dispiace affatto. Potrebbe essere il nucleo di una nuova Europa. Magar, dovesse funzionare, poi ci vogliono entrare tutti. Però, eventualmente, stavolta, ricordiamoci di più di idee e ideali, di cultura e storia, invece che pensare solo ad “allargare i mercati”. Perché, alla fine, pure i mercati non possono fare a meno della politica.
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