La giornata strepitosa, una ottobrata romana con tutti i sentimenti. Il chiostro di Santa Prisca l'ho già presentato in varie occasioni e stampato sul cielo blu faceva proprio un bell'effetto. Stavolta l'appuntamento era per offrire il pranzo a chi un pasto se lo può permettere difficilmente e spesso in via fortunosa. Italiani poveri, migranti da ogni dove, uomini e donne, giovani e anziani. Homeless con il loro bagaglio ancorato sulla schiena o trascinato su ruote barcollanti. Ma anche persone con lo sguardo timido e vago dell'imbarazzo oppure reso quasi provocatorio da una irriverente autoironia della condizione. Sono a occhio più uomini che donne, i primi di tutte le età, le seconde mediamente oltre i cinquanta. Oltre un centinaio, tra una fila e un ritardo, per la Festa dei poveri, il primo sabato dei sette programmati (12 e 16 novembre, 17 dicembre, 21 gennaio, 18 febbraio, 11 marzo, 1 aprile) per un piccolo ristoro lungo tutto l'inverno, organizzato con lunga tradizione dalla parrocchia di Santa Prisca.
Insomma, domenica 23 ottobre sono andata anche io a dare una mano. Sono arrivata verso le 10 e c'erano tavole e sedie da montare e spazzolare perché vivono in un gabbiotto chiuso in teoria, ma che lascia spazio alle intemperie. Il numero degli ospiti a pranzo può variare da cento a duecento, quindi, meglio prevenire la possibilità che qualcuno resti in piedi e abbondare con i posti a tavola. “Mai nessuno se ne è andato da qui senza aver avuto qualcosa da mangiare”, specifica don Antonio Lombardi, pietra angolare della parrocchia e prossimo al 60^ anno di sacerdozio.
Secondo step è vestire i tavoli: tovaglie di carta, posate e bicchieri di plastica in confezioni chiuse. I volontari, in quanto tali, lavorano di buona lena e in cooperazione. Uno stende la tovaglia, l'altro la taglia a misura e la rimbocca in modo che il vento non se la porti. Uno pulisce le sedie, l'altro le dispone intorno ai tavoli. Il clima è sorridente e socievole. In un angolo si cucina. Vietato fotografare, per ragioni imperscrutabili. Ma mi attengo. I pentoloni, comunque, sono pieni di penne al sugo e a seguire le teglie di polpettone e verdure miste dall'aspetto fin troppo sano per i miei gusti. Maiale non se ne serve, per via del rispetto islamico, e molti tra gli ospiti lo chiederanno con attenzione.
Prima delle 12, quando si aprono le porte del chiostro e comincia la fila spicciolata dei commensali, gli organizzatori e i veterani istruiscono le reclute.
L'organizzazione è rodata e i volontari si dividono tra rigoristi e scialli. I primi non vorrebbero una deroga nemmeno a costo di peggiorare la qualità del servizio, gli altri abbondano in eccezioni e creatività. Inutile dire a chi mi sono spiritualmente unita io... Comunque, mi rendo conto che senza un po' di regole il caos regnerebbe sovrano. In sintesi, però, direi che ciascuno porta le sue braccia e il suo spirito. Ci sono un paio di maestri di cerimonia, che assegnano i tavoli ai volontari in modo che ciascuno abbia una sua zona di responsabilità. Anche perché gli ospiti hanno un po' la sindrome da accaparramento, sebbene, nella maggior parte dei casi, trasparente e scherzosa. Per questo, ho scoperto, le bottiglie delle bibite vanno messe sui tavoli senza il tappo, altrimenti finiscono con un unico fluido movimento negli zaini più vicini. Quando la Festa comincia, i primi entrano a passo svelto e localizzano con esperienza i posti migliori, all'ombra e non troppo lontani -ma nemmeno a ridosso- del buffet. Si creano gruppi omogenei per lingua o per età o sesso. A me, che viaggiavo in tandem con la mia amica Letizia, è capitato un tavolo di uomini dell'est abbastanza allegri, un tavolo di mugugnatori e un tavolo 'misto'. Funziona che i volontari si mettono in fila davanti al buffet portando i vassoi con i piatti. Arrivati ai pentoloni, i piatti vengono riempiti e si portano ai tavoli. Gli ospiti sono molto contenti di collaborare e prendono i piatti passandoli l'un l'altro con grande cortesia e allegria. Qualcuno magari, in modo sottile mente surreale, critica la qualità del cibo (pasta scotta, manca sale, posso avere dell'olio extra), molti non rifiutano il bis, ma non pochi invece evitano lo strafogo e bilanciano secondo gusto: meno carne più verdure o viceversa, solo proteine o meglio carboidrati.
Tra i volontari e i commensali quasi sempre si scherza. C'è stato un uomo di mezza età, che facendo una garbata corte a una volontaria e le ha chiesto di che segno fosse. “Toro”, ha risposto lei. Al piatto successivo, lui sorridendo: “sono sempre andato d'accordo con le donne Toro...”. Insomma, c'è anche da farsi una risata.
A fine pranzo, c'è stato chi è venuto a chiedere gli avanzi. Alcuni addirittura con i loro bravi contenitori di plastica. Nessuno ha preteso spropositi, nessuno ha sgomitato per avere di più, zero insistenza. Andando via, la maggior parte ha salutato e ringraziato. Alla porta, ciascuno ha trovato un dolce, una frutta e il caffè. Si servono sull'uscio per incentivare l'esodo. Congedato l'ultimo ospite, si ripete la trafila allo verso: sparecchiare, impilare le sedie, smontare i tavoli.
La prossima volta, dice chi ha esperienza, verranno più persone, il passaparola si mette in moto e il freddo fa il resto.
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