In generale l'attenzione al piacere dell'occhio non fallisce. Mi dichiaro invece apertamente meno entusiasta della qualità. È anche vero che abbiamo battuto un'area simile a via del Corso e dunque, che aspettarsi? Però la quantità di abiti e accessori a tutto tondo di orrenda fabbricazione che ho visto, tastato, scartato è stata defatigante per occhi, tatto e spirito. Molto meglio è andata quindi per la carta di credito. Mi sono difesa strenuamente dagli attacchi di abitucci sintetici, impossibili paillettes e capini malamente assemblati, vietando anche senza mezzi termini a Flaminia di soccombere al loro a me invisibile fascino. In compenso, mi sono innamorata di una splendida borsa che avrei voluto a tutti i costi far trasferire in Italia e che tuttavia ho abbandonato al suo destino isolano visto il sussiegoso costo di 880 pound. Vabbè, bella ma proprio non ballava.
Molto divertente invece il raid nel supermercato giapponese: due piani di prodotti Made in Japan, ogni bendidio che un giapponese all'estero può desiderare: dalle ciotole al tè, da vegetali undentified a chilometri di sushi e sashimi di ogni combinazione di colori e ingredienti. Certo, c'è il piccolo dettaglio che il pubblico é comunque ristretto al Sol Levante perché non c'è uno straccio di traduzione di un diavolo di niente. Quindi, per alcuni prodotti è anche difficile individuare l'uso: le foto sgargianti non sempre aiutano un granché e quindi finisce che, rigirata da ogni lato la confezione, ci si rassegna a lasciarla lì. Un mondo a parte, insomma. Assai impenetrabile.
Comunque, ci siamo divertite anche in mezzo al brulicare esasperato dello shopping di un sabato non troppo lontano da Natale, con una bella giornata di sole nemmeno troppo gelida.
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