Qualche settimana fa, appena assunta in Inghilterra, mia figlia ha partecipato a una prima riunione del suo team. Quando il capo ha detto che le donne del gruppo in prospettiva Si sarebbero anche occupate dei loro figli, lei lo ha interrotto garbatamente per sottolineare che i figli si fanno in due e dunque anche i padri devono accudirli, assentandosi dal lavoro se necessario quanto le madri. Provocando un imbarazzato assenso del tipo in questione.
Ecco, questo quadretto mi pare simbolico. Il pregiudizio mentale -quanto inconscio non so- del boss maschio contro la assertività orgogliosa e ancora intatta -anche se, temo, un po' ingenua- della giovane donna. Penso che forse quando la generazione di mia figlia, oggi poco più che ventenne, sarà nei posti di comando forse le incrostazioni pregiudiziali dei ruoli non saranno così scontate. E magari appariranno perfino obsolete ai più.
Tutto questo per raccontare che l'8 marzo sono stata al Quirinale per le celebrazioni della Giontata internazionale della donna, che il colle ha dedicato quest'anno alle donne della Costituente, un manipolo di 21 pioniere della politica, tutte coraggio, spessore e statura intellettuale. Ci voleva una grande grinta per emergere, ma ce ne vuole altrettanta oggi. E non solo per calcare il primo piano. Anzi, paradossalmente, il rispetto negato, il diritto calpestato, la svalutazione quotidiana appartengono di più alle donne senza visibilità. Quelle alle quali non è data la luce dell'indignazione da tweet. Quelle che non vengono credute o sottovalutate, quelle che diventano colpevoli quando alzano la testa. Quelle per le quali il maschilismo quotidiano non è strisciante per niente, ma proprio forte e prepotente. Li ha snocciolati Linda Laura Sabbatini davanti a Sergio Mattarella, questi numeri agghiaccianti perché grigi sul sovraccarico di lavoro delle donne, sulle molestie e violenze subite, fisiche, psicologiche, sulla carriera, sul rispetto. È stato Mattarella a mettere all'indice gli stereotipi e gli ostacoli da rimuovere sul cammino delle donne a fronte del loro apporto alla storia e alla vita di questo paese. La capacità propriamente femminile di tenere la barra sugli interessi generali, senza azzuffarsi per un briciolo di potere in più. E ci sta tutta che il richiamo sia stato cucito addosso all'attuale impasse politico. L'interesse generale andrebbe sempre tenuto ben presente da chi viene scelto nelle urne.
Ecco perché trovo intollerabile parlare dell'8 marzo come di una festa. È la Giornata internazionale delle donne. Altro che mimose per un giorno e tavolate pseudo liberatorie per una sera. Talvolta sembra che il ragionare di donne e del loro ruolo sia effimero come le mimose stesse.
E nonostante le parole del Presidente della Repubblica, è piuttosto avvilente notare come il numero delle donne in Parlamento sia diminuito, nonostante una legge che avrebbe dovuto favorire (almeno) una simil parità di genere. Come sempre, la furbizia assetata di potere ha trovato il modo di aggirare la norma e ha fatto in modo di nutrire il sottinteso secondo il quale i posti per le donne sono sempre “grasso che cola”. Poche pochissime poi le donne che finora sono comparse nei totonomine per qualsiasi incarico prossimo venturo. Con l'avvento della nuova era mi pare che anche quel minimo di riguardo verso l'alternanza di genere (linguaggio vetusto quanto il concetto) sia stato allegramente buttato nel cestino.
Sono certa che questa giornata sia utile almeno a una riflessione comune. Certo ila cerimonia al Quirinale ha mostrato il talento e la grandezza femminile al suo meglio. Guardarmi intorno in quella sala fa sentire l'orgoglio di quello che le donne hanno fatto e stanno facendo. Quanto molte, tutte, si impegnino per se stesse e, passo dopo passo, a fare sistema. “Ci vuole responsabilità. Bisogna pensare all'interesse del paese”, ha detto Mattarella. L'esportazione vale per tutti, uomini e donne. Ma certo, la responsabilità è di certo femminile e l'interesse del Paese di sicuro non può prescindere dalla partecipazione delle donne a tutti i livelli.
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