giovedì 7 giugno 2018

I giardini del Quirinale



Reputo ogni volta un vero privilegio essere invitata al Quirinale, per il ricevimento del 2 giugno. Che si svolge il primo, perché poi il due ci sono troppi appuntamenti per un giorno solo e per un uomo solo. Quest'anno, la festa ha avuto un sapore particolare. C'era un'atmosfera sottintesa tutta diversa. Si sentiva ancora nell'aria l'odore della polvere da sparo, il sangue versato, l'adrenalina delle settimane appena trascorse. Niente di visibile, per carità, tutte ferite anestetizzate dagli abiti da cerimonia. O, di certo, per qualcuno solo ricoperte di grisaglia. Tanto di donne se ne sono viste pochine comunque, quindi parlare di grisaglie va tristemente a pennello. 
Vincitori e vinti si aggiravano per i giardini del Quirinale, attenti a mescolarsi il meno possibile. Ma così, come per caso. Nel sapiente -e studiatissimo- gioco del “ti avrei salutato se ti avessi visto, ma purtroppo non ci siamo incrociati”. 
La differenza l'ha fatta il Presidente della Repubblica. Mai come nei lunghi giorni appena trascorsi, impegnato a dipanare  una matassa non solo ingarbugliata, ma anche piena di spine e tranelli anomali. Una crisi costellata di prime volte e dunque di prime decisioni. Comportamenti e linguaggi espressione di nuovo. Nel migliore dei casi.


Senza entrare nel merito della contesa, Sergio Mattarella si è trovato ad affrontare una situazione nella quale era il solo ad usare regole e galateo. E ad avere a cuore il bene del Paese, difendendolo da sgomitanti masanielli. Momenti nei quali il rispetto delle istituzioni in quanto tale è andato a farsi benedire e le parole volate sono state proprio grosse, con divagazioni violentemente personali e assai “fuori dal comune”. 
Chissà, forse anche per questo sono stati moltissimi quelli che si sono messi in fila per stringergli la mano. Questa coda si forma ogni anno, per salutare il padrone di casa, affiancato dalla figlia. Un rito che dura un'ora o giù di lì. Poi, di solito, il cerimoniale scioglie le righe e i ritardatari se ne fanno educatamente una ragione. Quest'anno non è andata così. Quest'anno il Presidente ha affrontato anche questa maratona fino alla fine. Ben oltre le due ore é rimasto in piedi, stringendo mani, una parola personale per tutti, il suo mezzo sorriso affilato e ironico. Un ulteriore impegno a conclusione di settimane tumultuose. Ma -è possibile solo immaginare- forse anche la soddisfazione di veder riconosciuto un buon lavoro, quello di aver riportato, per quanto possibile, il Paese in equilibrio, assorbendo anche su di sè personalmente le tensioni generali e  difendendo i cittadini. Non saranno stati facili certi bivi. L'intelligenza, ahimè, si contorna di dubbi. Chissà quanti ne ha avuti lui. Ma anche queste sono cose che non è dato sapere. 


Tornando alla serata, c'è da registrare la fila di chi ha invece voluto salutare il neo presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Corteo breve, ma lento assai. Anche perché il nuovo venuto, non ancora avvezzo alla liturgia, si intratteneva con ciascuno molto più del sufficiente. In effetti, l'euforia scorreva a fiumi. Ma come non essere comprensivi, dopo la mirabolante parabola dei giorni appena vissuti? La vita vera da presidente del Consiglio è tutta da costruire. 




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