Un appuntamento più breve del previsto e mi sono trovata in via del Corso davanti a palazzo Sciarra. I grandi manifesti colorati appesi sulla facciata mettevano allegria, soggetti senza impegno, per strappare un sorriso. Di Norman Rockwell, confesso, non sapevo nulla di nulla. Così sono entrata per imparare chi era questo disegnatore americano del '900, illustratore -ho appreso- di 323 copertine del 'Saturday evening post' e del più impegnato 'Look', dopo.
La mostra rispetta lo stile dell'uomo. Niente tromboni autoriferiti. La voce narrante del percorso è del figlio, che mescola notizie a ricordi e disegna suo padre con le parole. Dopo l'algido tributo di Robert De Niro nel suo documentario, questa relazione appare più dolce e normale. Padre assente-presente, d'epoca, direi, sempre a casa, ma nello studio, Rockwell viveva comunque in un mondo di ragazzi, che spesso usava come modelli per le sue illustrazioni. Immerso nel sogno e nell'ottimismo americano del secolo scorso, se ne nutre a piene mani e assolve il suo compito di distribuirlo in giro.
Il figlio racconta aneddoti così tipici di quell'epoca da sembrare finti. E poi, però, ti accorgi che quest'uomo infiltrava le sue tavole leggere di temi civili di piombo. Con i suoi occhiali, rosa quanto si vuole, Rockwell ha visto e condannato il razzismo e la guerra, l'antisemitismo, la povertà, il Vietnam. C'è un quadro, per me bellissimo, l'ho scelto per copertina perché mi ispira. Questa bambina afroamericana vestita di bianco, viene scortata a scuola dalla polizia e insultata dai bianchi favorevoli alla segregazione razziale. I bianchi non si vedono, si intuiscono da un pomodoro rosso spiaccicato a distanza di mira sbagliata dalla bambina. Lei cammina a testa alta, ha i suoi libri, va. E' la prima afroamericana a frequentare una scuola bianca. Starà tutto l'anno da sola perché i bianchi non mandarono a scuola i loro figli per non contaminarli. C'è tutto in quel quadro, la storia delle diversità, la storia delle donne spesso in salita, la storia del cambiare la storia con piccole faticosissime battaglie personali.
Sono uscita sorridente. Per la conferma che si possono dire cose serissime senza gridare e senza per forza essere amari.