La parola giusta è 'ammirazione'. E la reazione seguente: “come vorrei conoscerlo!”. Sono andata alla mostra di Banksy a Palazzo Cipolla e sono stata completamente irretita da lui e dal suo modo di interpretare la vita e trasfigurare le denunce. Qualcosa avevo già visto, qualcosa letto, di sicuro ero già predisposta. Ma leggere delle sue gesta in giro per il mondo, tra musei garbatamente violati, scherzi di qualità, installazioni di spessore mi ha proprio entusiasmato.
L'approccio giocoso non è mai scontato -a parte forse quei bambini con il palloncino a forma di cuore che mi sarei risparmiata- la capacità di dare leggerezza pesantissima alla politica. Con un disegno, uno stencil, Banksy ti mette davanti gli orrori e le ingiustizie del mondo, un po' ridicolizzando chi si prende troppo sul serio, un po' stravolgendo completamente i luoghi comuni. Obbliga gli occhi a vedere la sintesi. Faccio un esempio. C'è, proprio all'inizio del percorso, un quadro (vabbè si chiamerà quadro? Forse) con degli africani in costume tradizionale da savana nell'atto di scagliare le loro lance contro dei carrelli supermercato vuoti. Bello anche lo stereotipo del manifestante violento nell'atto di lanciare, però, un mazzo di fiori. Altre cose che mi hanno colpito le metto qui, che io sono critica sempre per natura, ma non sono una critica d'arte e ognuno poi ci legge quello che vuole.
Però, nella mostra c'è anche il racconto, in pillole, della vita di Banksy e la sua capacità di farne una avventura di valore. Direi che è sicuramente l'artista contemporaneo che sento più vicino con la sua capacità di avvistare e mescolare amore e odio, pace e guerra, ricchi e poveri, distillando contraddizioni in termini con una ironia che sconfina nel sarcasmo. Decisamente non banale per combattere i mali dell'umanità. In parte guastatore, in parte vietcong metropolitano, ho passato con lui del tempo di qualità. Dimmi poco, di questi tempi.
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