Zia Maria, l'unica della quale si hanno fotografie
Le ziette erano tre, zia Maria, zia Anna e Giuseppina, che guai a chiamarla zia. Lei, unica sposata, era la più defilata, sempre vestita di nero, quanto le altre due erano eleganti e colorate, portava il peso di un marito bello e gaglioffo che prima sperperò il patrimonio al gioco e poi, nella più pura tradizione letteraria, si sparò. Lei ha passato tutto il resto della sua vita a rimpiangerlo.
Zia Anna era la numero due. Gregaria e spalla perfetta alla sorella maggiore, zia Maria, appunto. Di lei ricordo il viso bruttino e intelligente, il sorriso ironico e mesto con il quale assecondava la sorella, i ricami interminabili e fastosi, massima manifestazione di indipendenza e primazia.
Carattere di ferro, zia Maria, perfettamente individuabile in un corpo alto e minuto allo stesso tempo, capelli bianchi di parrucchiere, che per essere in perfetta forma la obbligavano a dormire sempre e solo supina. I suoi capelli erano di onde languide, mentre zia Anna si accaniva con ricciolini stretti stretti di permanente. Zia Maria era primogenita e prima attrice sempre. Volto fine, aristocratico, che nemmeno gli anni si erano permessi di sfigurare. Aveva continue coliche renali, ma proprio continue, ma lei imbrigliava nella sua volontà e mai a quei reni scatenati ha dato per vinta una sola gita, una sola partita a canasta. Accennava qualche smorfia e finiva li. Certo, l'altro lato della medaglia portava coliche brandite come alibi per scansare le inopportunità. Famose le zucchine lesse che “mi fanno ddanno”, sospirava preferendo al pericoloso cibo verde, una cassata, il gelo di mellone e altre golosità.
Siciliane, come tutta la famiglia, le ziette vivevano a Palermo in un palazzo dietro a Casa Professa. Servite e riverite da Vitina e Vicia, due governanti di sconfinata pazienza e immortale sense of humour. E sostenute da un patrimonio, diciamo, cospicuo. Tradunt che Luchino Visconti abbia chiesto il salone per girare la scena del ballo del Gattopardo e zia Maria abbia liquidato la proposta con un gesto della mano e la lapidaria osservazione: “mi siddia”. (Trad. mi secca). E, in effetti, in quel salone il pianoforte a coda, visto dall'altro lato, appariva in miniatura. Quando sono andata a Palermo, le ziette mi hanno assegnato la stanza dell'alcova, giusto attaccata al salone. E io passavo la notte ad ascoltare i rumori, in una sorta di 'agorafobia traslata'.
Le ziette usavano trascorrere almeno quattro mesi di villeggiatura tra Roma, a casa nostra, Fiuggi e Chianciano, dove si piazzavano in lussuosi alberghi a 'fare le cure'. Senza trascurare grandi e piccole mondanità locali. E per questo, avevano bisogno di una quantità stupefacente di bauli e valigie che si riversavano prepotentissimi nel nostro ingresso verso fine maggio e da li dilagavano, lenti, silenziosi e implacabili, per tutta la casa, occupando ogni spazio possibile.
Ricordo i loro soggiorni a casa nostra come un continuo incubo, costellato di episodi esilaranti. La vita della famiglia veniva rivoluzionata. A cominciare dal bagno. In casa ne avevamo tre, uno in camera dei miei genitori, uno in camera della domestica, uno per me e mio fratello. Situazione più che accettabile, direi. Ma l'arrivo di zia Maria e zia Anna, devastava l'equilibrio. Le due, infatti, si infilavano proditoriamente nel nostro bagno verso le 6.30 del mattino e ci si barricavano fino verso le 9.30. Abbondantemente dopo l'inizio della scuola, dunque. A nulla servivano richieste, proteste, petizioni. Zia Maria sorrideva, annuiva e... Ignorava. Trovare quella porta chiusa e vedere il filo di luce sotto la porta, che indicava 'occupato', mi provocava veri attacchi isterici. E riuscire, qualche rara volta, a batterle sul tempo, era soddisfazione ineguagliabile. Faceva la giornata.
Ma il meglio delle ziette si dispiegava in campagna. Al villino e poi nella casa cosiddetta 'nuova'. Li il tempo a disposizione era da vendere e zia Maria adorava ricevere e cucinare. O meglio, dirigere la cucina. Nella quale venivano arruolati tutti gli adulti e i nipoti in età appena accettabile, oltre agli aiuti domestici qualificati. E spesso sopraffatti.
Già perché zia Maria progettava su larga scala. Se si faceva la cassata, se ne facevano almeno 20. Senza esagerare. Dunque, 20 pan di Spagna, chili di ricotta dolce con cioccolato e via a seguire. E tutto doveva essere fatto a mano, senza aiuto di elettrodomestici e altre diavolerie moderne. Risultato: si passavano ore e ore a girare (mi raccomando, sempre nello stesso verso) intrugli vari, pregando che non impazzissero, a tagliare, sminuzzare, sciogliere... La tana di un alchimista. In più, la famiglia Anzon era venuta in Sicilia durante la (brevissima) dominazione inglese del '700 e le zie Marie precedenti (riunite in una sorta di cavallinitá aristotelica) avevano trascritto le ricette delle prelibatezze locali in once, libbre e le varie unità di misura locali. La ’traduzione ' in sistema metrico decimale aveva comportato dosi in numeri 'eccentrici'. Come 23.5 grammi di questo, 78.09 grammi di quello, unito a 0.47 ml di liquido. Zia Maria non permetteva sgarri o approssimazioni. Così era scritto. Così doveva essere.
Restano indimenticabili tutte le superfici piane di casa ricoperte di cassate o di gelo di mellone. Per il quale si doveva cominciare due giorni prima, mettendo in infusione i gelsomini in acqua. Dopo aver trovato una pianta di gelsomini fiorita, naturalmente. Senza quella, la ricetta non poteva nemmeno essere presa in considerazione. E poi, le confezioni per i parenti fino al sesto grado e tutti gli amici. Che venivano tormentati finché, sfiniti, non venivano a prendere il loro pacchetto gastronomico.
Altro must dell'estate era la macedonia. Normale, no? No. La nostra doveva essere a pallini. Zia Maria aveva comprato un attrezzo, all'epoca assai raro, per scavare la frutta e farne palline tutte della stessa dimensione, per la macedonia. E pazienza, per la quantità di frutta sacrificata sull'altare dell'estetica.
Terzo elemento estivo, la partita a canasta. Senza soldi. Zia Maria e zia Anna giocavano sempre.
Giuseppina, no. Non credo che vedesse di buon occhio le carte, dopo il suicidio del marito. Ma le altre due erano, direi, compulsive. La canasta era un must del pomeriggio in campagna. Passatempo al femminile. Tutte venivano coinvolte. Anche io, che seduta nemmeno toccavo con i piedi per terra, scartavo pinelle come una professionista. Ricordo quei mucchi enormi di carte, fatti di tre o più mazzi, con i ghirigori azzurri o rosa sul retro. Mai più presa una carta in mano dopo quella stagione.
Come si conviene a cotanta famiglia, le ziette avevano gioielli principeschi. Ogni tanto ne lasciavano cadere uno sulle dita,sul collo o sulle orecchie di una di noi. Per loro, i maschi di casa contavano poco più (o meno) di zero. Per il mio matrimonio zia Maria (zia Anna era già morta, credo) mi ha regalato una spilla che si superava in sempre maggiori preziosità: da semplice barretta con brillantini a sontuoso mosaico intessuto di piccoli zaffiri e brillanti, con un intreccio di ganci e anellini a incastro. Chissà se i ladri che l'hanno presa ne hanno capito l'ingegneria.
E come in tutte le famiglie siciliane di un certo rispetto, anche gli Anzon avevano uno scandalo al sole. Mia madre non lo sa, “allora di questo non si parlava”, ma una accusa sul lavoro. Il padre delle ziette venne coinvolto in qualche brutta storia, lui grande capo del Banco di Sicilia. Pochi anni bui, pare, e poi il riscatto, la riabilitazione con somme scuse. E pensioni-risarcimento morale/materiale da favola per le ziette. Che se le sono godute fino all'ultima goccia. Però, purtroppo, non sono riuscita a trovare traccia in rete di questa vicenda primi '900. E l'omertà familiare di allora si è fusa con il naturale svolgersi delle generazioni. Così, finché non avrò tempo e voglia di fare ricerche storiche, il punto interrogativo su cosa sia successo davvero, resta.
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