Luglio e agosto, grazie, non saprei. Ma i traghetti della Grecia in giugno o settembre hanno un loro fascino indolente. Non dipende dall'orario, non conta partire all'alba, a metà giornata, di notte. Nella loro sostanziale unanimità di linea e filosofia assumono un'aria di famiglia, come ritrovare di volta in volta vecchi amici. Piccole differenze tra l'uno e l'altro non fanno che accentuarne uniformità.
C'è la meraviglia del mare, mai noiosa, mai ripetitiva. Potrei -posso- guardare la scia che lascia il traghetto ore e ore. L'aria sempre tiepida, respirare il sole.
In questa atmosfera perfino di immancabili bambini agitati non mi suscitano quei sani istinti omicidi, sacrosanti di fronte a urla, capricci e cavalcate intorno, moltiplicati per le ore di traversata. Questi ragazzini, di età variabile tra pochi mesi e cinque anni circa, sono anche loro stereotipi presenti sempre e ovunque. Sospetto che le grandi navi li assumano come figuranti, tanto sono inevitabili e alacri nelle loro parti.
Nell'insieme però sono rumore di fondo, con il chiacchiericcio svagato e il gorgogliare dei motori. Scandito dagli annunci dell'altoparlante, doppia lingua, greco e inglese, ogni pochi quarti d'ora.
Isole e isolette sfilano davanti agli occhi. A volte, anzi spesso, si vedono i delfini saltare dentro e fuori dalla scia. Quello che non si sente mai è l'italiano. I libri posati sui bagagli hanno tutte le nazionalità ma l'italiano non è tra queste.
Anche l'uscita è codificata: tutti giù al 'piano terra', con borse e valigie. In piedi si aspettano i due portelloni gemelli calare dall’alto e fare da ponte per la terra.
La prima vista è dei cartelli di studios e alberghetti locali alzati sulla testa dei relativi proprietari. Ti invitano, ti cercano, ti sorridono per ospitarti. Fare la propria scelta, se non se ne ha una precedente, non è facile. Di solito, mi ispiro alla faccia. Va sempre bene.
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