In partenza per Pechino via Mosca. Le conseguenze dell'embargo sono evidenti. Il volo è pieno di giovani asiatici. Ci sono solo un paio di russe 'tipiche', capelli quasi bianchi (non di vecchiaia), abbigliamento classico dell'area, con guizzi animalier e borchie spruzzate sembra a casaccio. Il resto sono orientali, la maggior parte in gruppi composti, sorridenti e silenziosi. Sono... Molti... Ma questa credo sarà la cifra del viaggio.
Partiamo con oltre due ore di ritardo. Il vento si è messo di traverso sulle piste di Fiumicino. Una sola è aperta e la coda è interminabile. Decollando ho contato almeno undici aerei in attesa dopo di noi.
L'atmosfera Aeroflot è molto 'russa'. Certo. Laddove, in una cirCostanza di ritardo simile, qualche mese fa, il comandante ogni pochissimo ci aggiornava sulla situazione, qui, silenzio profondo. Le informazioni sono riservate 'a prescindere' e solo astute conversazioni con gli assistenti di volo riescono a elargire brandelli di conoscenza. Spesso inesatta.
Tra gli annunci dati dagli altoparlanti senza ombra di ironia, però, il divieto di ubriacarsi. E qui Aeroflot ci mette del suo, visto che si fa un punto d'onore nel portare le bevande (molto) prima del cibo. Addirittura passano a ritirare i bicchieri prima di servire il pasto.
Accanto a me ho una tour guide coreana. In otto (dico proprio otto) giorni in Italia, ha portato il suo gruppo a Venezia, Verona, Vicenza, Genova e Cinque terre, Pisa, San Gimignano, Firenze, Roma, Napoli, Capri e costiera. Giuro. È vero. Me lo sono fatto ripetere tre volte per essere sicura di aver capito bene. Quindi, è chiaro, siamo ben oltre il turismo 'mordi e fuggi', stiamo varcando le frontiere del telesporto.
Mi da delle 'dritte' per Pechino: acqua terribile, aria terribile, traffico terribile. Ecco, se porta i gruppi così, tutto si spiega.
Comunque l'evidenza è che i russi non viaggiano (più). Avrei detto che la loro meta non era più l'Europa ostile e si fossero rivolti allo shopping orientale. Invece anche sul Mosca Pechino, inopinatamente affollatissimo, niente. Di russi nemmeno l'ombra. Niente orsi magnati accompagnati da più o meno leggiadre mani bucate, niente eleganti etichette del lusso Made in the world. Niente russi, insomma. Stanno a casa. Forse non è stagione. Prima di partire hanno dovuto scongelare l'aereo. Volevo mettere le virgolette, ma no. Non era figurato. “Sorry for the delay but the aircraft must be deiced”, hanno annunciato. Sono intervenuti con alcune stranissime pompe a getto sulle ali e dopo un po' via al decollo. Pista libera, dintorni parecchio innevati.
Da Mosca a Pechino si sorvolano territori davvero sconosciuti. Mi sono resa conto che quel tratto di carta geografica mi è completamente ignoto. Appena fa giorno, il finestrino mostra per ore distese innevate senza soluzione di continuità, tracce umane dall'alto non risultano. La mappa sullo schermo dell'aereo indica località solo lette in qualche libro, Ulan Bator, Novosibirsk, Irkusk, Tomsk... Nomi così, che paiono più usciti dalla letteratura che insediati nella realtà.
Più ci si avvicina a Pechino, più le distese innevate senza macchia sono sostituite da montagne alte e strette strette. Abbracciate l'una all'altra, paiono disegnate per un cartone. E pensare di valicarle a piedi o con altri mezzi appare impresa degna di Ercole o altro eroe mitologico.
Welcome to China.
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