Ora, io sarò anche obsoleta, ma di questo Jenga non avevo mai sentito parlare finché non l'ho incontrato in un fumosissimo bar di Pechino. Già, perché a Pechino nei locali si può fumare, anche se non lo fa quasi nessuno. Il fumo non fa parte dei vizi cinesi popolari. Ma è contemplato.
Comunque, Jenga è un gioco 'di società', categoria generalmente assai estranea alla mia natura di lupo solitario (talvolta anche mollusco solitario, ma questa è un'altra storia).
Flaminia ha sbeffeggiato la mia ignoranza, ma io l'ho trovato un passatempo divertente e senza impegno. Forse complice un numero X di birre... È una versione massiccia del vecchio Shanghai.
Intanto, prima informazione dal web, Jenga non è per niente cinese ma swahili. In quella lingua fa voce del verbo costruire. Come sia, Jenga ha fatto parecchia strada, pure se in molto tempo.
Si compone di 54 blocchi di legno, come mattoncini si impilano in fila per tre, dritti e rovesci. Poi a turno i giocatori, con una sola mano, altrimenti guai, devono togliere un pezzo senza far cadere la torre. Inevitabilmente si creano equilibri destinati a sempre maggiore imperfezione. E al crollo alla mossa maldestra o prona alla legge di gravità.
Insomma, non proprio un rompicapo da intellettuali, ma sempre meglio, per me, di burraco e compagnia bella. Forse perché non sono intellettuale.
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