Dici Puglia e pensi ulivi. Non è automatico il contrario. A me questa regione così grande e assolata sta simpatica. Ha una sua dimensione allegra e pigra, le focacce ridono di gusto, i taralli chiacchierano pettegoli, i nodini si intrecciano con purè di fave e cicoria. Ho guidato tre giorni e 450 chilometri per il Salento, strade dritte dritte a rischio ipnosi, muretti a secco che pare quasi Sardegna. Attraversi paesi polverosi, case basse, colori sporchi, attrattiva zero.
E di colpo sbuchi nella magnificenza di una piazza, una cattedrale incongrua, una villa fastosa. Roba che racconta tutt'altra storia. Il caldo non si fa guardare dietro, è vero. Ma il colpo d'occhio di questi paesi è che sembrano abbandonati. Negozi chiusi, persiane strette, vie inanimate. Sembrano abbandonati e non lo sono. La controra infinita. Le macchine le incontri con il contagocce. Vanno lentissime o velocissime e in questo caso ti si piazzano a un millimetro dalla coda, impazienti di sfrecciare all'orizzonte. Andamenti da crociera, magari pure nei limiti di velocità, non sono contemplati dal guidatore pugliese medio.
E poi ci sono le città delle meraviglie. Non le voglio chiamare gioielli perché la banalità della definizione le offenderebbe di certo a morte. Hanno personalità, cultura, raffinatezza. Sono anche belle donne, diciamolo.
Si lasciano ammirare, ben sapendo di non aver bisogno di trucco e parrucco per piacere. Così, a parte un paio di inevitabili vie commerciali zeppe di luoghi comuni, angoli e vie si scoprono con il naso per aria e gli occhi tra portoni e cancelli. Dalle terrazze spesso grandi piante mediterranee guardano giù, mentre i classici balconcini, infilati sulle facciate, si spintonano per le inferriate più belle.
Lecce compare sabbiosa, Ostuni e Otranto parlano la stessa lingua immacolata attraverso il mare. Dentro le città poca verzura, tutta affidata a cortili e terrazzi. O alla villa comunale.
La Grecia è a due passi e lo senti non solo per cultura geografica ma nelle k che compaiono inaspettate nei nomi, in un certo rigore, una specie di tendenza all'essenziale che sembra trama e stile.
Anche se parliamo di barocco, la ridondanza si applica su strutture squadrate, le radici ben ficcate per terra. E quella ritrosia di tenere la vita dentro le mura, proteggere senza ostilità.
E poi c'è il lato mare. Bello e impossibile. Impraticabile. Prendi Porto Selvaggio, per esempio. Riserva naturale. Pineta fascinosa tutta da camminare. Arriva quasi con le radici nell'acqua.
La spiaggia è libera. Ma l'affollamento è da alto Adriatico, senza confort però. Sarà anche che il tacco di Puglia affonda tra due mari e due venti. Così lo scirocco consiglia un lato, la tramontana l'altro. E i bagnanti si spostano seguendo il vento, tutti insieme. Il risultato è affollato.
A Porto Selvaggio, per esempio, gli autoctoni si annidano tra gli alberi, da dove sbucano solo per entrare nell'acqua. Fredda. Non nuotano. Stanno stanziali, tutti a pochi centimetri l'uni dall'altro. Lo stesso accade negli altri posti bellissimi che offre la costa. Il mare è blu cartolina, le rocce disegnano forme suggestive e piscine naturali trasparenti. Però la calca fa disamorare.
E queste, ovviamente siamo noi.
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