Penso a San Suu Kyi, al suo trionfo in Myanmar dopo decenni di patimenti inanellati. Mi piace il suo trionfo sottotono, la modesta e intransigente fermezza con la quale sempre ha lottato contro orchi, giganti e generali. Una vita spesa per un paese che la amava, con una testa però che la perseguitava. Il cambiamento adesso fiorisce, ma credo che lei, in questi anni, il dna della antica Birmania lo abbia già rivoluzionato. Passo dopo passo, giorni, mesi, anni e leggende di forza quieta si sono insinuati nelle persone che ora l'hanno votata e chiesta come guida. Una rivoluzione quotidiana potente e sottile. La prigionia nelle sue varie forme, la separazione dal marito, il coraggio dignitoso, il Nobel come piccolo scudo. Sarà felice, adesso? Il prezzo da pagare, a conti fatti, sarà stato equo? O troppo alto, arrivando in cima e guardando in giù al tempo della vita passata? Sta riflettendo che ne è valsa la pena? O sarà spaventata della nuova prova? Che salita impervia e interminabile per questa donna. Essere emblema speranza futuro quanto pesa quando mangi il tuo riso, ti sdrai sul letto o accendi il primo pensiero della mattina? La guardo in TV, sorriso stretto e corpo essenziale. Lo sa bene che le battaglie non sono finite, non c'è riposo. Ce la farà a espugnare il nocciolo dopo averlo conquistato più volte? Coraggio. Ancora una volta.
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