giovedì 12 febbraio 2015

Bagni comuni(sti)


    La foto dei bagni ce la risparmio. Meglio puntare sul futuro dell'edilizia anche igienico sanitaria 

Tra le usanze più bizzarre mai incontrate in viaggio, c'è questa via cinese alle toilette. Almeno a Pechino, i bagni sono solo pubblici. Non esistono bagni nei ristoranti o nei bar. Ogni poco, invece, nelle vie principali ma anche all'interno dei quartieri, ci sono bagni pubblici. Quelli, per capirci, che in Italia uno non degnerebbe mai di uno sguardo. Meglio morire che addentrarsi in una di quelle esperienze. E poi, ovunque nel mondo, c'è la valida alternativa degli hotel, dei ristoranti, dei caffè. 
Invece a Pechino, l'unica possibilità sono le toilette comuni. Addirittura, se si è a cena fuori, si esce dal locale e si cerca il bagno più vicino, poi si rientra. 
E il bello, per così dire, è che l'idea cinese del bagno è totalmente avulsa dal concetto di privacy. 
Cioè, si entra in una stanza, più o meno grande, con tutti cessi alla turca allineati e senza alcuna separazione, nemmeno un paravento, niente. E pure la porta d'ingresso è generalmente lasciata aperta. Così, qualunque sia il bisogno che spinge una persona in bagno, niente viene concesso al privato.  
Insomma, vestigia del comunismo spinto all'estremo.... Certo, nella parte nuova della città le cose vanno un po' meglio. Lo stile preponderante è quello 'aeroporto' è uno si sente un po' più a suo agio. 
Per legge del contrappasso i cinesi detestano che i cani usino le gomme delle loro auto per ispirare bisogni. Usanza comune a tutti i cani del mondo. No, qui no. È insopportabile. Così la sera negli hutong (i quartieri interni) le auto ferme accessoriare con tavolette di legno poggiate su ogni ruota come deterrente. 

martedì 10 febbraio 2015

Domenica pechinese

 Domenica, 1 febbraio 


Domenica, primo giorno in città. Siamo partite di buona lena per un lungo giro turistico e invece no, pian piano ci siamo fatte trasportare dall'atmosfera e siamo state avvolte dalla festa. Diligenti siamo  salite sulle due torri, la Torre del Tamburo e la Torre della Campana. Ne parlo a parte, se lo meritano. Da lì si domina il paesaggio e si individuano le altre piccole colline della città, ciascuna ospita un parco e una bella costruzione in testa. 
Girovagando rigorosamente a piedi, non più di una decina gli occidentali avvistati, ci siamo sintonizzate sulla lunghezza d'onda generale. Domenica di sole, sui laghi ghiacciati chi può pattina, gli altri affittano strane creature mitologiche, metà slitta metà bicicletta, e si lanciano con quelle.



Chi cammina, generalmente lo fa con del cibo in mano. Il passo è orientale, per noi lentissimo e svagato. Abbiamo superato mille mila persone, mai uno che camminasse più veloce di noi che pure non stavamo andando da nessuna parte. Anche noi abbiamo comprato street food, uno strano calamaro infilzato su uno spiedo e fritto con tutti i suoi tentacoli. Buonissimo. 


E poi ecco Jingshan Park, a ridosso della Città proibita. Salendo in cima lo spettacolo è degno delle migliori stampe cinesi.



 Ma è il parco stesso a riservare una sorpresa. Gli abitanti di Pechino la domenica ci vanno a cantare. Già salendo fino al tempio sentivamo gruppi di voci, siamo andate a vedere e c'erano capannelli di persone, per lo più divisi tra uomini e donne, che cantavano. Alcuni più virtuosi rappresentavano chiaramente il nocciolo, altri andavano e venivano, partecipavano a una canzone e lasciavano. Accompagnati da musici diversi. Fisarmoniche o chitarre. Microfoni o no. I gruppi più numerosi avevano anche una specie di direttore del coro. 


Poco più in là, invece, i gruppi di ballo. La versione cinese del liscio, una specie di classe di aerobica, un danzatore simil mongolo esibiva il suo a solo. 
Abbiamo bighellonato tutto il giorno, insomma. Il piacere di una sosta in un ristorante nel quale per ordinare abbiamo dovuto indicare i piatti altrui. Certo, peccato per quel topo che è sfrecciato dalla cucina fino  sotto la credenza... Meno male che stavamo già chiedendo il conto...

The Great Wall




Inevitabile la gita da Pechino alla Grande muraglia. Ma non la 'solita' gita, quella dove incontri plotoni di turisti inconsapevoli. Noi abbiamo scelto di sfidare la parte confinante con la (ex) Mongolia, a tre ore di auto dalla città. Percorso fisicamente impegnativo. Solo sei km, ma con dislivelli pari a 126 piani (la app dell'iPhone docet), sali e scendi con una temperatura piuttosto bassa e chiazze di neve a dimostrarlo. Ma dopo cinque minuti di buon passo, il freddo non si sente più, anzi. Via il cappello, via i guanti, puoi solo ammirare la processione di torri a perdita d'occhio inutile dire che, oltre al nostro saputo gruppo di una decina di temerari, non c'era nessuno. I negozi di paccottiglia ai piedi del percorso chiusi, i venditori free lance scoraggiati.


   


 Unici impavidi, una coppia di vecchietti a mezza via con una rudimentale cassetta con bevande varie. Fredde al naturale. Una meraviglia, la grande muraglia completamente deserta. L'atmosfera permette di tornare indietro di qualche secolo. Riflettere su quante migliaia di persone abbiamo contribuito a costruire questa meraviglia lunga 600 km. Piccola immortalità controvoglia. I tratti marcatamente mongoli delle guardie, molto diversi dai cinesi di Pechino, aiutano ad assorbire una storia poco conosciuta quanto avventurosa e affascinante. Appaiono duri e impenetrabili sotto i colbacchi con la stella rossa, ma se si prova a comunicare si aprono in sorrisi illuminati. E a gesti gentili. 

    
Il cammino è battuto dal vento, come si conviene. Anche questo fa contorno. Alcuni gradini vanno davvero scalati, sono alti più o meno 30 centimetri, richiedono muscoli. E alcuni tratti vanno in pendenza quasi da free climbing. La tentazione é passare al quattro zampe, che sembra più facile, ma no, meglio di no. 


Le torri sono periodiche. Alcune meglio conservate, altre tendenti al diroccato. Il panorama credo l'abbiano visto tutti in questa o quella foto, ma, nemmeno a dirlo, un giorno di sole d'inverno lascia la sua traccia di emozione. 
L'ultima torre si chiama 'dei cinque venti' e quando ci si arriva si capisce che non si sono tanto sforzati con la fantasia. Potevano anche chiamarla dei cinquemila venti e sarebbe stato giusto lo stesso. 
Le guardie mongole con il loro colbacco lasciano il passo, ci aspettano per chiudere la porta dietro di noi e finalmente chiudere la muraglia per la notte. L'ultimo tratto va giù a perdifiato. Le gambe tremano un po' perfino a una allenata come me. Ma l'impresa è tutta di felicità.,

lunedì 9 febbraio 2015

I misteriosi ravioli magici dell'imperatore immortale

Il 
    Sabato, 31 gennaio

Ovvero, primo impatto con il cibo cinese. A prima vista, la percentuale di ristoranti su altri negozi a Pechino è circa di nove a uno. Grandi, piccoli, medi il cibo sembra occupare una porzione assai sostanziosa della vita quotidiana e delle attività dei pechinesi. Per l'esordio gastronomico abbiamo scelto una piccola bottega sulla strada che porta al Lama Temple e al tempio di Confucio. Posto piccolissimo e sobrio rispetto a palazzoni vicini dalle insegne sgargianti e alte circa tre piani.



A mano, fuori un cartello assai allettante nella sua rozzezza prometteva “misteriosi dumpling magici dell'imperatore immortale”. Impossibile resistere. Così, nonostante l'appeal “moderato” del luogo, abbiamo osato. Dentro una coppia di cinesi con zero conoscenza di altre lingue e menù solo in cinese e di soli ravioli al vapore. Ne scegliamo uno a caso, in fondo erano le cinque di pomeriggio, nè pranzo, nè cena e dopo una ventina di minuti, il tipo di scodella un piatto con una quindicina di enormi ravioli di una bontà celestiale. Prezzo, circa tre euro. Decidiamo che sarà il nostro punto di riferimento, in fondo è a due passi dell'albergo.